#Cinema e Fiction

Euforia, il nuovo film di Valeria Golino

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Un nuovo film quello di Valeria Golino che sta uscirà dal 25 ottobre sugli schermi cinematografici italiani. Dopo il film Miele del 2013 (candidatura come migliore attrice protagonista ai David di Donatello) dove l’argomento trattato riguardava il suicidio assistito, anche questo film torna ad affrontare il tema della malattia che può portare alla morte, ma lo fa da una prospettiva differente.

“Se devo raccontare la dimensione esistenziale nel mondo di oggi, cerco drammaturgicamente quei pochi elementi che credo ancora intoccati, e la morte è la regina dei nostri pensieri, delle nostre paure, che cerchiamo sempre di eludere” afferma proprio la Golino in una recente intervista.

E’ la storia di due fratelli, personalità opposte così come i loro stili di vita. Matteo è un giovane imprenditore di successo, spregiudicato, affascinante e dinamico. Suo fratello Ettore vive ancora nella piccola cittadina di provincia dove entrambi sono nati e dove insegna alle scuole medie. È un uomo cauto, integro, che per non sbagliare si è sempre tenuto un passo indietro, nell’ombra. La scoperta di una malattia grave che ha colpito Ettore (della quale lo si vuole tenere all’oscuro) spinge Matteo a tornare a frequentarlo e ad occuparsi di lui.

Euforia, dice Valeria Golino, “è quella bella e pericolosa sensazione sperimentata dai subacquei nelle grandi profondità: un sentimento di assoluta felicità e di libertà totale” riferendosi alla narcosi da azoto, è una sensazione che deve essere immediatamente seguita dalla decisione di raggiungere la superficie prima che sia troppo tardi, prima di perdersi per sempre negli abissi.

Un nuovo modo di affrontare la malattia grazie alle prestazioni artistiche di due grandi attori: Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea. Il primo riesce ad offrire al suo personaggio, Matteo, tutte le sfumature di un carattere complesso perfettamente inserito in un mondo che si muove in precario equilibrio tra autogiustificazioni professionali (i nuovi campi profughi) e un’insoddisfazione di fondo tacitata con sesso e droghe.

Mastandrea invece entra non solo nei panni ma direttamente nei pensieri di un Ettore che prende progressivamente coscienza della propria malattia.

Il film è una sequenza di scene in cui, senza pietismo, c’è una ricerca del il valore dei piccoli gesti (le punte delle dita che si toccano da una automobile all’altra per fare un esempio) all’interno di una riflessione più ampia su come l’irrompere di una malattia modifichi le dinamiche relazionali portando allo scoperto nodi irrisolti ma anche aprendo spazio a un nuovo modo di guardare all’altro.

 

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