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Ristorazione street, a Roma ancora non ci siamo

Sulla ristorazione a Roma, quella spicciola, da strada, quella che quando lo stomaco necessita di essere riempito prima di cena, o metà pomeriggio, nella mattinata, ancora Roma non riesce ad uscire dal ragionamento mentale del servizio offerto, e comunque guadagno, rispetto alla massimizzazione dell’introito ed a scapito ovviamente dell’immagine della città ospitale.

Metà pomeriggio di una domenica invernale. I musei di Roma sono aperti, romani e turisti dondolano nei vicoli e nelle strade di trastevere, quelle invase da paninoteche, pub, locali, qualche pizzeria a taglio e i molti ristoranti che offrono menu ‘romani’ serviti in improbabili costumi trasteverini che si avvicinano di più a vestiti per le feste folkloristiche di “ballo delle quadrighe” o del classico “salterello”.

Tanti i giovani romani che si godono la mite domenica invernale, con un bicchiere di vino fuori da un vernissage, o direttamente sulla piazza di Santa Maria in Trastevere dove storicamente ci si siede attorno alla fontana davanti la facciata della chiesa.

Insomma un bicchiere di vino, necessita comunque di essere attenuato da un qualcosina che possa affievolire o neutralizzare l’alcool, che seppur minimo può essere fastidioso. La pizza, simbolo di italianità per tanti stranieri. Nel rione trasteverino dove l’intimità di una passeggiata è senza dubbio conciliata da luci soffuse, gente in strada, camerieri all’ingresso di ristoranti che tentano di invitare turisti direttamente dal marciapiede dove i loro colleghi all’interno vestiti in improbabili costumi del secolo scorso, quando il rione centrale di Roma non era così romantico e gli uomini imponevano la loro supremazia con le puncicate di un coltello, la pizza a taglio può essere un buon sistema per riempire un po’ lo stomaco in attesa della cena.

Un cartello in bella vista sul bancone nella pizzeria a via della Lungaretta, pizza a peso, pizza a tranci. Bene, basca poca pizza, il pensieri di molti, anche per non rovinarsi l’appetito. Ma lo scontro è in agguato: non posso prendere un pezzetto di pizza, ma tutto un trancio. “Scusi, ma la pizza è a peso… ne vorrei poca…” ma nulla da fare, si deve obbligatoriamente prendere tutto un trancio, l’equivalente di una cena e forse oltre considerando lo spessore della stessa e tra i tranci presenti sul bancone anche ‘l’obbligo’ di consumare la pizza sfornata da più tempo. Le rimostranze del cliente non portano ad una soluzione. L’uscita dalla pizzeria a taglio è inevitabile. Si prosegue il giro finendo su Viale Trastevere in direzione di piazza Mastai, l’orario continua ad avanzare, ed il nervosismo per la pizza continua a ribollire nello stomaco: come si può mandare via un cliente cercando di rifilare un pezzo di pizza ormai quasi inutilizzabile con la pretesa di vendere tutto il pezzo, nel paese della pizza, nella zona di Roma dove moltissimi stranieri sono comunque di passaggio presentanto guanto di peggio a livello gastronomico si può offrire? A Viale Trastevere un negozietto piccolissimo colorato, dall’arredamento di certo non recente. Un commerciante non italiano passa e ripassa sul bancone, lucidandone le cromature di acciaio, elimina ogni piccola goggiolina d’olio, tiene sott’occhio la carne che ruota verticalmente davanti una griglia, lo shwarma. A Roma ormai la parola “kebabbaro” indica proprio il venditore di questo tipo di carne, panini nel pane arabo di carne di pollo, di vitello e di montone con condimenti a scelta e salse piccanti se volute. Una bottiglietta d’acqua è il richiamo per entrare nel negozio, neanche un passo ed il venditore sfodera il suo miglior sorriso, due stuzzicadenti sigillati fanno a pescare nella vaschetta del felafel, polpette di legumi che vengono prontamente offerte al cliente. Buona la frittura, non si sente il sapore forte dell’olio della frittura, croccanti ma morbide dentro. Entrano anche alcuni stranieri, cercano una toilette, quella stessa toilette negata nei bar del centro con cartelli “fuori servizio” o negati con un “il bagno non lo abbiamo” anche se è obbligatorio averlo. Nessun problema in questo caso, la toilette è li dietro, sempre indicata con il sorriso anche se il cliente non consuma. Dalla bottiglietta dell’acqua, con l’omaggio della polpettina fritta, il cliente prende anche un panino con il kebab, aggiungendo all’interno insalata verde, pomodori, patatine fritte, olive, salsine varie. Ad ogni panino il ristoratore si lava le mani, indossa i guanti in lattice, usa sapone, sorride a tutti. Se prende i soldi dal cliente per il pagamento ovviamente si leva i guanti azzurri, un azzurro elettrico che contrasta con il colore della pelle scura e li indossa di nuovo per maneggiare il cibo. Il cliente pensa alla pizza stantìa di poco prima e guarda il panino fresco appena fatto. Pensa agli stranieri, e coloro che mescolano cappuccino e pizza con le cipolle alle 18 del pomeriggio al freddo di un dehor abusivo per riposarsi, per poter accedere alla toilet, per poter continuare il giro alla ricerca di una Roma che non è solo monumenti e libri di storia. Roma potrebbe anche essere ospitalità verso chi porta ricchiezza nel turismo, ma in questo caso l’ospitalità non arriva da Roma, arriva da molto più lontano.