Nella cornice maestosa di Piazza San Pietro, avvolta da una luce primaverile che sembrava voler accarezzare i volti dei fedeli, Leone XIV ha dato inizio al suo ministero petrino con parole che hanno attraversato il cuore del mondo. Un’esortazione potente, intrisa di umanità e spirito evangelico, che ha assunto i contorni di un accorato appello alla coscienza globale. Davanti a circa duecentomila persone, raccolte tra il Colonnato del Bernini e le vie adiacenti, il Pontefice ha scelto di non celebrare soltanto un inizio, ma di lanciare un messaggio di responsabilità, memoria e speranza.
“Non possiamo dimenticare i fratelli e le sorelle che soffrono a causa delle guerre”, ha detto con voce ferma al termine della celebrazione eucaristica, prima della preghiera del Regina Caeli. Un monito che ha attraversato silenziosamente la folla prima di esplodere in un applauso commosso, come se quelle parole avessero liberato una tensione collettiva, una necessità urgente di ritrovare senso, empatia, compassione.
Tra i primi pensieri di Leone XIV, il dramma di Gaza. “I bambini, le famiglie, gli anziani sopravvissuti – ha detto – sono ridotti alla fame”. Non un riferimento generico, ma una denuncia netta, precisa, che dà volto e voce a chi rischia di scomparire sotto il peso dell’indifferenza. Gaza, con le sue macerie e i suoi silenzi, è stata evocata come ferita aperta che brucia nella coscienza del mondo.
Subito dopo, il Papa ha esteso lo sguardo verso il Myanmar, ricordando le giovani vite innocenti spezzate da nuove ostilità. Anche qui, la parola è diventata ponte: tra un Occidente spesso distratto e un Oriente che sanguina in silenzio. E ancora, l’Ucraina, la “martoriata Ucraina”, come l’ha definita, che attende “negoziati per una pace giusta e duratura”. In queste parole non vi è rassegnazione, ma l’invito pressante ad agire, a non lasciare che la diplomazia resti chiusa nei palazzi, lontana dai volti delle vittime.
Significativa è stata anche la memoria di Papa Francesco. “Durante la Messa – ha confidato Leone XIV – ho sentito forte la presenza spirituale di Papa Francesco, che dal cielo ci accompagna”. Un passaggio che ha commosso e unito idealmente due pontificati, due anime che sembrano rincorrersi nella medesima vocazione alla misericordia e alla pace. Non un’eredità statica, ma un solco aperto che Leone XIV pare deciso a percorrere con convinzione e coraggio.
La celebrazione ha visto la partecipazione di delegazioni da circa 150 Paesi, accanto a rappresentanti delle Chiese cristiane, delle comunità ebraica, musulmana, induista, buddista, sikh, zoroastriana e gianista. Un abbraccio universale, un’immagine plastica della fraternità possibile. Se l’inizio di un pontificato è anche una dichiarazione d’intenti, Leone XIV ha voluto che il suo si inscrivesse nel solco di un impegno radicale per la pace e per i poveri, là dove la storia geme e l’umanità si frantuma.
In un tempo segnato da conflitti dimenticati e da diplomazie spesso paralizzate, il Papa ha riportato al centro il volto dell’altro, lo sguardo del bambino affamato, il silenzio del giovane ucciso, il grido di una madre rimasta sola. E ha chiesto al mondo, senza retorica, ma con la forza di chi crede nella potenza del Vangelo, di non voltarsi dall’altra parte.