Domani, nella maestosa cornice di Piazza San Pietro, andrà in scena non soltanto l’ultimo saluto a Papa Francesco, ma anche una delle più complesse operazioni diplomatiche che il Vaticano abbia mai dovuto orchestrare. A oltre tre anni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il presidente Volodymyr Zelensky e la ministra della Cultura russa, Olga Lyubimova, siederanno a poche decine di metri l’uno dall’altra. Un’immagine carica di tensione simbolica, che si consumerà a pochissimi giorni dall’ennesimo bombardamento su Kiev, costato la vita a dodici civili e con un bilancio di oltre novanta feriti.
Il cerimoniale vaticano sta lavorando con scrupolo per gestire le 170 delegazioni annunciate (130 quelle confermate al momento), in un equilibrio delicato tra rigidità protocollare e sensibilità geopolitica. Monsignor Paul Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati, coordina il complicato puzzle con la supervisione del cardinale Pietro Parolin e di monsignor Edgar Peña Parra, valutando ogni dettaglio per evitare qualunque sfumatura diplomatica potenzialmente infiammabile.
La tensione non si ferma al settore riservato ai capi di Stato e ministri. Tra le autorità religiose, l’atmosfera sarà ugualmente densa. Alla cerimonia parteciperanno sia il metropolita Antonij di Volokolamsk, in rappresentanza del Patriarcato di Mosca, sia esponenti della Chiesa ortodossa ucraina autocefala, senza dimenticare la presenza del patriarca ecumenico Bartolomeo I di Costantinopoli. Una presenza, quest’ultima, fortemente simbolica, vista la frattura insanabile con la Chiesa ortodossa russa dal 2018, quando Bartolomeo concesse l’autocefalia alla Chiesa ucraina. Uno scisma che segna ancora oggi profondamente le relazioni tra i due patriarcati.
Sul fronte delle autorità politiche, il protocollo prevede che le prime file siano riservate ai capi di Stato, con una precedenza particolare per le delegazioni italiana e argentina. Saranno dunque in prima fila Sergio Mattarella e Giorgia Meloni, così come il presidente argentino Javier Milei, che ha avuto un rapporto tutt’altro che disteso con il Papa, suo connazionale. Seguiranno i monarchi europei, tra cui re Felipe VI di Spagna, i sovrani di Norvegia, Svezia, Olanda e Belgio. Per il Regno Unito ci sarà il principe William, il quale, in qualità di erede al trono, dovrebbe occupare un posto in terza fila.
Nella zona riservata ai presidenti, secondo l’ordine alfabetico in lingua francese, Donald Trump siederà accanto a Emmanuel Macron. Una vicinanza che, al di là delle tensioni transatlantiche tra Stati Uniti ed Europa, non desta particolari preoccupazioni. In quello stesso settore sarà collocato anche Zelensky, ma a distanza prudente dall’ex presidente americano. Per Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, è previsto un posto di rilievo nelle prime file.
Dietro i presidenti, i posti saranno assegnati ai primi ministri, tra cui il britannico Keir Starmer e l’ungherese Viktor Orbán, mentre più indietro siederanno i ministri degli Esteri. In questo contesto, l’ucraino Andrii Sybiha potrebbe presenziare, ma il protocollo eviterà ogni contatto diretto con la ministra russa Lyubimova, la quale, non avendo una carica legata alla diplomazia, sarà collocata ancora più indietro.
Un ulteriore nodo delicato riguarda la presenza simultanea di Armenia e Azerbaigian, da sempre in conflitto per il Nagorno-Karabakh. L’organizzazione ha già previsto la separazione dei rispettivi rappresentanti: per l’Azerbaigian parteciperà il presidente del Parlamento, mentre l’Armenia sarà rappresentata dal suo capo di Stato. Questo li colloca automaticamente in settori diversi.
La delegazione israeliana sarà limitata alla sola presenza dell’ambasciatore presso la Santa Sede, scelta che allenta possibili tensioni con le delegazioni dei Paesi arabi o musulmani, mentre il caso Taiwan è stato disinnescato: non ci sarà il presidente, bensì un ex capo di Stato, evitando così eventuali reazioni ostili da parte della Cina. Non è ancora chiaro, invece, se Pechino invierà un rappresentante ufficiale.
Tra gli ex presidenti, è atteso Joe Biden, che nel corso del suo mandato ha intrattenuto un rapporto personale e profondo con Papa Francesco. Nonostante il legame stretto, Biden sarà collocato alcune file dietro Donald Trump, secondo le disposizioni protocollari.
Il funerale di Papa Francesco è dunque un evento religioso di portata mondiale, ma anche come una prova diplomatica di altissimo livello. Un palcoscenico globale su cui il Vaticano metterà in campo tutta la sua storica arte della mediazione e del silenzio eloquente, in una giornata che sarà ricordata anche per la sottile geometria delle sedie.