Una piazza colma, densa di voci, cartelli, lacrime e dignità. Oltre 300.000 persone hanno invaso piazza San Giovanni a Roma, rispondendo all’appello di partiti, associazioni e movimenti politici per chiedere la fine del massacro a Gaza, la difesa della vita umana, la condanna senza ambiguità delle violenze sui civili. È stata una manifestazione imponente, partecipata, attraversata da un unico grido collettivo: basta guerra, basta morte, basta silenzio.
La folla ha denunciato quello che appare ogni giorno più un genocidio sotto gli occhi del mondo, con numeri che parlano da soli: migliaia di bambini uccisi, ospedali distrutti, scuole e rifugi colpiti, sfollati ridotti alla fame e alla sete, mentre le bombe continuano a cadere sui più fragili. Le parole più ascoltate e condivise: “il mondo civile non può voltarsi dall’altra parte”. E da Roma, il cuore politico d’Italia, è arrivato un segnale forte, chiaro, inequivocabile.
Il comportamento di Israele, hanno ribadito i manifestanti, è inaccettabile. Non può essere questa la risposta a un attentato vile e sanguinoso come quello del 7 ottobre. Ma soprattutto, non si può mettere sullo stesso piano uno Stato con un’organizzazione terroristica. Una democrazia non si difende con la vendetta, non si legittima con la devastazione, non si onora con il sangue degli innocenti.
I volti in piazza erano tanti, diversi, uniti da un’urgenza comune: ridare umanità alla politica. Le testimonianze di medici, operatori umanitari, familiari delle vittime hanno attraversato la piazza come pugnalate. Le immagini di ospedali ridotti in cumuli di macerie, corpi estratti dalle macerie, volti di bambini mai più svegliati, hanno fatto da sfondo a una giornata in cui l’indignazione si è trasformata in impegno.
Numerosi gli striscioni che invocavano il cessate il fuoco, la protezione dei civili, la fine dell’assedio. E ancora, l’invio immediato di aiuti umanitari, il rispetto del diritto internazionale, il sostegno concreto a chi è rimasto senza nulla. Perché, come ha scandito più di un oratore, non è più tempo di equilibrismi diplomatici né di silenzi complici.
Nel mirino anche il governo italiano, colpevole – secondo molti interventi – di un atteggiamento pavido e ambiguo. “Serve una presa di posizione netta e pubblica,” si è ripetuto dal palco, “perché il silenzio è complicità, e la neutralità davanti all’orrore è vergogna.”
Il messaggio è arrivato forte e chiaro: la società civile italiana non vuole più stare a guardare. Vuole alzare la voce, prendere parte, proteggere la dignità umana, soprattutto quella dei più indifesi. Vuole dire no alla barbarie, no alle rappresaglie indiscriminate, no alla retorica della sicurezza che giustifica l’ingiustificabile.
La manifestazione di San Giovanni è stata una dichiarazione d’intenti. Una voce collettiva che dice: non in nostro nome, non con la nostra indifferenza, non con la nostra paura. E lo ha fatto nel modo più nobile possibile: con la forza della democrazia, della partecipazione, della compassione.
Perché nessun bambino dovrebbe morire per una guerra che non ha scelto, nessun ospedale dovrebbe diventare un bersaglio, nessun popolo dovrebbe essere ridotto alla disperazione. E perché, in un mondo che vuole ancora definirsi civile, vergognarsi è il minimo. Agire è il dovere.