La luce di uno smartphone illumina, nel buio, il candore dei corpi di Apollo e Dafne. Io, importante galleria ai margini della villa del centro che ha il mio stesso nome, custodisco questo giovanile capolavoro berniniano, immerso nell’oscurità. È notte, e nelle mie sale vuote c’è un unico visitatore. Il “ragazzo fortunato” è Lorenzo Cherubini Jovanotti, che ha scelto proprio me per far vivere, fra i miei marmi antichi e la mia scultura barocca, Il corpo umano, il suo ultimo album.
«È un visual album – ha detto Jovanotti – ogni canzone è ambientata in una delle sale della Galleria Borghese, uno dei luoghi più belli del mondo, che ringrazio per averci concesso di girare nei giorni di chiusura». Le tredici tracce, delle quindici del doppio album, si legano a me e alle opere che custodisco da secoli. Ora sono disponibili nella loro ambientazione unica, su tutte le piattaforme digitali e su YouTube.
«Ad ogni traccia – ha spiegato Jovanotti – abbiamo associato un’opera presente in una delle stanze del museo. Non si tratta di veri videoclip, ma di suggestioni visive, piccoli fondali che accompagnano le canzoni. La Galleria Borghese è pura estasi per i sensi». I “piccoli fondali”, diretti da Marco Braia, scandiscono la sequenza dell’album, in cui il cantante si muove perfettamente a suo agio tra i marmi che colleziono con orgoglio da secoli, grazie al cardinale Scipione Borghese.
Jovanotti non è estraneo alla grandezza della mia città. In occasione della presentazione al pubblico dell’esposizione En Route alla Biblioteca Apostolica Vaticana, ha raccontato di come la sua vita sia stata intrecciata a memorie di Roma e del Vaticano: “Da bambino vagavo per il Cortile del Belvedere, prendevo la rincorsa e scivolavo sul pavimento in marmo della Galleria delle Carte Geografiche ai Musei Vaticani”.
Nel brano Senza se e senza ma, illumina il corpo in trasformazione di Dafne, afferrata alla vita da Apollo, mentre in Celentano si muove fra barchette di carta colorate ai piedi del medesimo gruppo scultoreo. Lo vedo intento a creare una barchetta di carta in Grande da far paura, per poi deporla di fronte alla mia statua di un leone in alabastro.
Per L’aeroplano è invece un piccolo velivolo, nelle sue mani, ad attraversare le mie sale fino ad arrivare alla volta della Sala della Paolina. Alla mia celebre scultura di Canova sono dedicate due canzoni: Le foglie di te, in cui il cantante mangia una mela, richiamando il pomo nelle mani di Paolina Borghese, ed Universo.
Nella Grande emozione l’attenzione è sul David, ancora di Bernini, che torna anche nel visual di La mia gente, mentre il drammatico rapimento di Proserpina, sempre berniniano, è l’opera attorno alla quale ruota Innamorati e liberi. In 101 Jovanotti balla, visto attraverso il buco di una serratura, e sfila invece, vestito da tamburino, fra i miei ritratti di imperatori, per Lo scimpanzé.
Fra questi stessi ritratti in marmo, una danza sincopata prende vita per Il corpo umano, mentre il video di Un mondo a parte raccoglie insieme tutti i frammenti visivi delle dodici precedenti canzoni, in una narrazione musicale che si intreccia alla mia storia.
«È uno dei luoghi – ha commentato Jovanotti – più belli del mondo: qui, artisti come Gian Lorenzo Bernini e Canova hanno scolpito inni di marmo dedicati al corpo umano, autentiche meraviglie». E io, la Galleria Borghese, sono felice di aver ospitato questa esperienza unica, unendo la musica contemporanea all’eternità della mia arte.