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Dario Fiocchi Nicolai – Pensiero

Nel panorama artistico contemporaneo, Dario Fiocchi Nicolai emerge come una figura che sembra modellare la materia con l’urgenza di un’idea che brucia. La sua opera Pensiero non è solo un titolo: è un atto di rottura, una dichiarazione ontologica, un’esplorazione delle forze centripete e centrifughe che abitano la mente e la coscienza. Nell’epoca dell’iperconnessione, dove l’immagine tende a essere consumo e decorazione, Fiocchi Nicolai costruisce invece un altare alla dissonanza, alla frizione interiore, all’intelletto che divide più che unire.

Il quadro, analizzato nella sua composizione visiva, mostra un’energia centripeta fatta di rossi incandescenti, neri dilanianti e forme che si rincorrono senza mai conciliarsi. È una raffigurazione di uno stato mentale, più che una scena o un soggetto. Il fuoco, qui, non è semplicemente un elemento cromatico, ma assume un valore mitopoietico. Secondo la lettura estetico-semiotica che accompagna l’opera, esso si fa archetipo ambivalente, divina scintilla prometeica e condanna infernale. È il fuoco che riscalda e distrugge, che illumina e brucia. Il pensiero, nella visione dell’artista, non è armonia né sintesi, bensì disgregazione. È l’atto di separare, distinguere, esiliare: un gesto fondamentalmente diabolico, se per diabolico si intende etimologicamente “colui che divide”.

La tela si impone dunque come un campo di tensione, una zona di attrito tra l’unità perduta e l’intelletto che frantuma. Ogni pennellata, ogni linea suggerisce un’irrequietezza che sfugge alla composizione classica, che rifiuta la simmetria come bugia estetica. Non c’è nulla di consolatorio in Pensiero: al contrario, l’opera inquieta, disturba, trascina chi guarda in una zona liminare dove il soggetto si dissolve nella molteplicità frammentata dei suoi stessi processi mentali.

L’artista attinge, consciamente o meno, a una radice filosofica antica, quella empedoclea, che vede nel fuoco non solo un elemento naturale ma una sostanza originaria, un principio primo da cui tutto nasce e verso cui tutto tende. Ma Fiocchi Nicolai non si limita a evocare, egli trasforma. La mitologia diventa qui semiotica visiva, e il complesso di Prometeo si traduce in gesto pittorico: l’atto del pensare come furto sacro, come tentativo disperato di attingere a un sapere che, per sua natura, frantuma chi lo cerca.

Ciò che colpisce maggiormente è la consapevolezza con cui l’artista rifiuta la pacificazione, la ricomposizione delle forze in contrasto. In un tempo in cui il discorso pubblico invoca conciliazione, Fiocchi Nicolai rivendica la funzione sovversiva del pensiero, la sua capacità di interrompere, separare, rimettere in discussione. Se l’amore — nella tradizione filosofica — è forza coesiva, armonia che tutto tiene insieme, il pensiero è ciò che rompe l’unità, che scompone le membra e le lascia isolate, in attesa di un senso che non arriva. Non c’è catarsi, non c’è risoluzione: c’è solo la coscienza acuta della frattura.

In questo senso, Pensiero è un’opera radicale. Non perché urli, ma perché tace dove ci si aspetta una voce; perché mostra l’assenza là dove si cerca presenza. È, al tempo stesso, un autoritratto dell’artista e una diagnosi della condizione contemporanea: alienata, frammentata, divisa tra la nostalgia dell’unità perduta e la consapevolezza che ogni pensiero è, per sua essenza, una separazione.