Risultato quasi scontato quello del referendum di non riuscire a raggiungere il quorum. Ma si è rivista una partecipazione di popolo come non si vedeva da anni. Anche se si intravedono all’orizzonte solo macerie, bisogna coltivare la speranza.

Archiviato anche il risultato del referendum, con le ovvie polemiche, chiacchiere da bar e rese dei conti conseguenti, si torna a guardare quello che ci circonda con la stessa preoccupazione di prima. Anche se c’è chi festeggia per lo scampato pericolo del raggiungimento del quorum. Oltre 14 milioni di cittadini e cittadine si sono recati alle urne.

Non è stato sufficiente per ottenere il quorum necessario, quello della metà dei votanti più uno. I cittadini che si sono recati alle urne sono stati circa il 30%. Una buona notizia, comunque, perché senza partecipazione la democrazia rimane un feticcio. Ma non possiamo non essere preoccupati dal continuo arretramento della partecipazione pubblica. Un cittadino su due non ha votato alle ultime elezioni politiche del 2022. Così come alle amministrative. In questa tornata referendaria due su tre. Eppure, la politica e chi governa non sembra ritenere la diminuzione costante della partecipazione delle cittadine e dei cittadini alle principali scelte del Paese una vera e propria emergenza democratica. Una situazione che evidentemente ha radici profonde e interroga la nostra idea di civiltà, il nostro modello sociale e le modalità di coinvolgimento della cittadinanza. Perché il passo seguente a questa emergenza democratica è andare verso sistemi liberticidi e regimi di democrazia illiberale.

La definizione generica di regime, rivolta alle istituzioni, è: ordinamento politico, forma o sistema statuale o di governo. Più di frequente si usa come riferimento a un sistema di governo assoluto, autoritario, militare, dittatoriale. Proprio su quest’ultimo mi vorrei soffermare per fare alcuni approfondimenti. Un regime dittatoriale, in politica, è un sistema di governo in cui il potere politico è concentrato nelle mani di un singolo leader o di un piccolo gruppo, senza limitazioni costituzionali o legali e senza garanzie di diritti e libertà civili per i cittadini. Questo tipo di regime è caratterizzato da un forte controllo dello Stato su ogni aspetto della vita pubblica e privata, spesso attraverso l’uso della propaganda, della repressione e della violenza.

In un regime dittatoriale si hanno: concentrazione del potere, assenza di garanzie costituzionali, controllo dello Stato, repressione del dissenso, propaganda, culto della personalità. Se alle descritte caratteristiche aggiungiamo l’istillazione della paura del nemico, del diverso, dello straniero, del migrante, ecco allora che la ricetta del perfetto regime dittatoriale è ben servita. Don Tonino Bello, ora venerabile, esortava a Vegliare nella notte per difendere i diritti di ognuno e una politica intesa come maniera esigente di vivere l’impegno umano al servizio degli altri.

Nel cosiddetto mondo occidentale non siamo ancora alla rappresentazione completa delle caratteristiche di regimi dittatoriali, ma la strada intrapresa da stati quali Ungheria, Usa, Israele e anche il nostro, preoccupano molti cittadini per le modalità con le quali si calpestano diritti (anche quelli umani), norme nazionali e internazionali, organismi sovranazionali (Onu, Oms. Europa,…) rappresentati come caricature, si ergono muri, si pensa che il potente di turno possa fare e dire quello che vuole a dispetto di regole e leggi (alla Marchese Del Grillo).  Si può anche arrivare anche a uno sterminio come quello che si sta perpetrando a Gaza (Restiamo umani – Roma Sport Spettacolo) senza alcun rispetto per i minimi diritti umani e di fronte a un mondo che è diventato sordo al crimine.

“Siamo stati delusi dal mondo intero, non per un motivo complicato, ma perché sceglie di non vedere – ha scritto Alia Shamlakh, architetta 37enne dall’apocalisse di Gaza – Non stiamo morendo in segreto. Tutto è documentato, proprio davanti agli occhi di tutti. Convenzioni, leggi, diritti umani? Foglie al vento o combustibile per il fuoco. Il mondo ha dichiarato la morte della propria coscienza in un freddo silenzio. Ormai ridiamo con nera ironia quando il mondo parla di «dignità umana» e «sicurezza dei civili»”.

Si possono anche rapire, in acque internazionali, una dozzina di volenterosi che tentano di raggiungere le coste di Gaza e portare un po’ di sollievo alla popolazione. Gesto più simbolico che altro perché i generi di conforto contenuti nell’imbarcazione erano davvero poca cosa rispetto alle necessità di un popolo allo stremo. E dopo il rapimento costringerli a vedere video choc sui massacri di Hamas il 7 ottobre 2023 per poi rispedirli a casa (tra questi anche Greta Thumberg) o trattenerli. Dagli Usa arrivano immagini di scontri tra cittadini, che manifestano contro le restrizioni imposte da Trump nei confronti degli stranieri, e la polizia, supportata anche dalla guardia nazionale.

Ma anche da noi ci sono rischi per i diritti fondamentali. Il Senato ha approvato lo scorso 4 giugno il testo definitivo del decreto sicurezza con 109 voti a favore, introducendo 14 nuovi reati e 9 aggravanti. La legge è stata fortemente criticata per il rischio di un’eccessiva repressione del dissenso. La Corte Costituzionale potrebbe essere chiamata a intervenire. Al momento, diversi giuristi ritengono che il contenuto della legge violi gli articoli 17 e 21 della Costituzione, che riconoscono il diritto di riunione pacifica e di libera manifestazione del proprio pensiero:

Articolo 17: I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Articolo 21: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. […]

Alla crisi della democrazia si risponde con maggiore democrazia, avendo fiducia nel contributo della cittadinanza e nell’impegno diffuso che parte dal basso. Magari rafforzando l’istituto referendario, perché rappresenta una forma di democrazia diretta indispensabile e ancora più utile in una fase storica in cui la politica sembra non volersi porre domande scomode e il modello economico non garantisce più il lavoro, la salute e la pace sociale. Bisognerebbe abbassare il quorum dei referendum abrogativi, così da salvaguardare uno strumento fondamentale per la democrazia e per poter ricostruire la partecipazione della cittadinanza. Quorum che, come sappiamo, non è previsto per eleggere il Parlamento.

Prendo in prestito le parole di un’amica sui social:”(per i risultati al referendum) Non sono sorpresa! Basta che guardi ciò e chi mi circonda! Ma io, nel mio piccolo, non rinuncerò mai al diritto di poter dire la mia! Se o se NON mi tocca personalmente l’argomento, se o se NON tratta del mio presente o del futuro delle nuove generazioni! Se o se NON tocca il mio “orticello” la libertà di poter Votare in consenso o in dissenso, è un grande regalo conquistato da altri sulla loro pelle, e io glie ne sarò sempre grata! Ricordo, che non era una partita di calcio o di un campionato di Tennis dove c’è chi vince e chi perde con annesse tifoserie! Quì l’unica cosa persa è la ragione mentale e quello che regna sovrano, e si evince ogni giorno che passa, è l’individualismo e l’egoismo feroce di questo paese!”.

Le disuguaglianze – come sostiene anche la Rete dei Numeri Pari – rimangono il principale problema del nostro Paese. Precarietà, insicurezza ed esclusione sociale continuano a crescere, come denunciano i dati e le analisi sulla situazione. Credo sia indispensabile continuare a fare ognuno la propria parte, rafforzando la partecipazione, per portare avanti gli impegni che si ritengono prioritari, per vedere finalmente riconosciuti nel nostro Paese il diritto alla casa, alla salute, all’istruzione, al reddito, al salario giusto, alla partecipazione, all’ambiente e alla pace. Non per noi, ma per tutte e tutti!