#Rubriche #La voce di Andrea Maccari

Due giorni e due fiori nella storia

Il 25 aprile con il suo fiore simbolo, il papavero, e il 26 aprile con il fiore di Papa Francesco, la rosa bianca, entrano nella storia.

Il 25 e il 26 aprile 2025 sono entrati prepotentemente nella storia. E con loro i fiori simbolo di queste giornate, il papavero e la rosa bianca.

Il papavero è anche quest’anno il fiore che rappresenta gli ottanta anni della Liberazione. Oltre al suo significato poetico e simbolico, il papavero ha un valore particolare anche nel linguaggio dei fiori. Nel significato floreale, il papavero rosso simboleggia il ricordo, il dolore, ma anche la speranza e il conforto. In Italia, questo fiore è spesso indossato da chi partecipa alle cerimonie ufficiali del 25 aprile, come un omaggio a tutti coloro che hanno lottato per la libertà, pagando con la loro vita.

La rosa bianca simboleggia principalmente la purezza, l’innocenza, la castità e l’amore puro e spirituale. È spesso associata a nuovi inizi, matrimoni e cerimonie religiose. Una leggenda sulla rosa bianca fu narrata da Anacreonte, poeta greco antico vissuto intorno al VI secolo a.C., secondo cui la rosa bianca fosse comparsa durante la nascita di Afrodite, dea della bellezza: al momento di venire al mondo, cadde in mare e dalla schiuma marina che toccò le rive nacquero delle splendide rose bianche. La rosa bianca ha accompagnato tutta la vita di Papa Francesco. Era il simbolo del suo legame con santa “Teresina”, Teresa di Lisieux, la santa a cui si è sempre rivolto per chiedere grazie e alla cui intercessione affidava le difficoltà personali e altrui.

Il 25 aprile 2025 ci ha mostrato un Paese che ancora non ha fatto i conti con il passato e sono aumentati i tentativi di cancellazione di una memoria che dovrebbe essere collettiva. Non è sembrato vero ad alcuni prendere a pretesto la morte di Papa Francesco per dichiarare “il 25 aprile lutto nazionale”. Lasciando agli amministratori locali la possibilità di scegliere se portare a termine le celebrazioni o evitarle. E così molte amministrazioni comunali in giro per l’Italia si sono tolte questo fardello con un sospiro di sollievo e hanno deciso, per “sobrietà e rispetto”, di non procedere ai festeggiamenti per l’80° della Liberazione. 

Così, la mancanza di rispetto e di memoria storica si sono spostate verso tutte e tutti coloro che in tanti casi hanno sacrificato la propria vita, la propria giovinezza per un Paese finalmente libero e liberato. L’aver rimosso gli appuntamenti è il disconoscimento della nostra Costituzione, nata dalla Resistenza e dal 25 aprile 1945. La festa popolare e nazionale è in ricordo di partigiane, partigiani, staffette, donne, lavoratori, deportati, internati, militari, forze dell’ordine, sacerdoti, antifasciste, antifascisti, intere famiglie. La Costituzione del 1948 è il frutto delle loro lotte, un dettato civile che riguarda tutte e tutti: libertà, eguaglianza, solidarietà, lavoro, pace, dignità della persona, in una piena democrazia fondata sul pluralismo. Valori che non possono essere rimossi dalla politica, istituzionale o locale che sia.

Aria di festa popolare colma di commozione si è vissuta anche il giorno dopo per i funerali di Papa Francesco. E anche in questo caso con i vari distinguo e partecipazione. Ma anche dall’alto delle varie posizioni, si deve riconoscere che il 26 aprile per il saluto al Santo Padre è stata una giornata straordinaria. La folla immensa che ha voluto salutare la bara di legno povero di Papa Francesco, accompagnandolo con emozione, preghiera e partecipazione, da piazza San Pietro alla Basilica di S. Maria Maggiore. Una miscela veramente forte di fede ed umanità che ha coinvolto il popolo di Francesco in tutte le strade percorse dalla papa mobile e riproposte in mondovisione. A Santa Maria Maggiore sono stati soprattutto migranti, carcerati, senza dimora, persone comuni, a dare l’ultimo saluto a papa Francesco. Come sono state persone comuni “non organizzate” da associazioni, parrocchie, nazioni, quelle centinaia di migliaia che si sono messe in fila per l’ultimo saluto sia i tre giorni precedenti le esequie che il giorno dei funerali.  E come ha voluto sottolineare anche Raniero La Valle “il consenso che si è scatenato attorno a papa Francesco, come successe con papa Giovanni XXIII, non è finto, è reale”. Ed è certamente vero che “non tutto papa Francesco è piaciuto a tutti, ma ognuno ne ha preso un pezzo”: chi i migranti, chi la pace, chi il no all’aborto, chi la Palestina, chi l’Ucraina.

Al di là dei singoli pezzi è la figura complessiva di papa Francesco che si è imposta ed è arrivata al cuore della gente. I primi miracoli di Papa Francesco sono stati visibili a tutti in diretta tv, tra strette di mano e colloqui improbabili. Dimostrando tutta la sua forza spirituale che ho già  ampiamente descritto nell’articolo del 24 aprile scorso (Papa Francesco pace e disarmo: Un’eredità di giustizia – Roma Sport Spettacolo). Un altro miracolo a cui ho assistito, sempre in tv, è vedere Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista, definitosi “greco” rispetto alla fede, e Corrado Augias, scrittore e giornalista, ateo, parlare di Papa Francesco con affetto e vicinanza e, soprattutto, della figura di Gesù, a cui lo stesso “greco” ha dedicato un suo libro.

Gli eventi di queste due giornate, con i loro simboli floreali, hanno tra loro il filo conduttore della voce popolare, ricca di speranza, argine a un mondo che sembra fuori controllo. Resistenza e Papa Francesco, Costituzione e Vangelo, hanno costruito ponti da percorrere. Da subito! Magari anche con la partecipazione attiva ai referendum dell’8 e 9 giugno, per non lasciare che siano sempre gli altri a decidere per te.