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“Chiedi cos’era il Folkstudio”: a Roma un viaggio nella memoria della musica d’autore

C’era una volta un piccolo locale nel cuore di Trastevere, un seminterrato che odorava di fumo, sogni e canzoni, e che nel corso di tre decenni ha visto nascere la storia della musica italiana d’autore. Quel luogo si chiamava Folkstudio, e il 7 giugno alle ore 21, grazie all’evento “Chiedi cos’era il Folkstudio”, tornerà a vivere nei racconti, nelle immagini e nella musica che l’hanno reso immortale.

L’appuntamento, ospitato dall’Antica Stamperia Rubattino di Roma, rappresenta la serata conclusiva della rassegna “Stanze polverose”, iniziata a febbraio con l’obiettivo di raccontare — attraverso incontri, testimonianze e canzoni — l’anima profonda di un luogo che ha segnato un’epoca. Curata dal giornalista e operatore culturale Enrico Deregibus, la serata sarà una vera e propria celebrazione della cultura musicale romana, un mosaico composto da ricordi, voci e volti che hanno attraversato il Folkstudio e lasciato un segno indelebile.

Il tempio della canzone d’autore
Fondato nel 1961 dall’americano Harold Bradley, artista poliedrico e carismatico, e successivamente guidato per decenni da Giancarlo Cesaroni, il Folkstudio è stato molto più di un locale: è stato un laboratorio di libertà espressiva, un rifugio per giovani artisti e un crocevia di idee. È tra quelle mura che Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Rino Gaetano, Stefano Rosso, Lucio Dalla e Giorgio Lo Cascio, solo per citarne alcuni, hanno affinato la loro poetica, condividendo note e inquietudini in un’atmosfera che sapeva di America, di poesia beat, di Roma e delle sue contraddizioni.

Un racconto corale
“Chiedi cos’era il Folkstudio” non sarà un semplice evento commemorativo, ma un racconto corale, vissuto e vibrante. Sul palco si alterneranno canzoni dal vivo, narrazioni, proiezioni e contributi audio e video, in un flusso che restituirà al pubblico lo spirito autentico di un’epoca irripetibile.

Daniela Tosco, attrice, darà voce a testi e frammenti di memoria; Oliver Bradley, figlio del fondatore, porterà il ricordo diretto di un padre visionario; Donatella Susanna, collaboratrice storica di Giancarlo Cesaroni, riporterà alla luce storie poco note ma preziose. Nico Maraja, giovane cantautore, rappresenterà invece le nuove generazioni che si nutrono di quell’eredità e la traducono nel linguaggio di oggi. Ci saranno anche Pino Marino, uno degli ultimi artisti lanciati da Cesaroni, e Fabrizio Emigli, cantautore e responsabile del “Folkstudio Giovani”, nonché attuale direttore artistico della Stamperia Rubattino, custode della memoria e dell’identità del luogo.

In una città come Roma, dove spesso la cultura si smarrisce nei meandri della velocità contemporanea, ricordare il Folkstudio significa riaffermare il valore del tempo, della parola, della musica come racconto dell’anima. Significa riportare alla luce le stanze polverose ed i sacchi di juta appesi alle pareti  in cui sono nati versi che oggi cantiamo ancora, dando voce a una generazione che ha saputo rivoluzionare la canzone italiana senza urlare, ma con la forza gentile della poesia e dell’impegno civile. E dire che per quella cantina di via Sacchi oltre ai cantautori nostrani, quello che hanno fatto la storia, c’è passato anche un giovane Robert Zimmermann, meglio conosciuto come Bob Dylan.

L’ingresso è libero, come libero era lo spirito del Folkstudio. E l’invito è chiaro: “Chiedi cos’era il Folkstudio”, e lasciati travolgere dal fascino di un luogo che è stato casa, fucina e sogno per chi credeva che con una chitarra e una buona canzone si potesse cambiare il mondo. Anche solo per una notte.