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“Che Diavolo Volete?” – Lucifero si confessa, tra risate e verità scomode

Una commedia infernale… ma anche celestiale. Sul palco non c’è redenzione, ma c’è un punto di vista sorprendente, quello del Diavolo in persona. Lucifero è tornato – o meglio, è salito – per dirci finalmente la sua. E lo fa con un’ironia che brucia, ma non brucia tutto. Anzi, accende.

Fino all’11 maggio al Teatro Tirso De’ Molina in scena lo spettacolo “Che Diavolo Volete?” è un monologo comico, satirico, teatrale e – inaspettatamente – poetico. In scena c’è lui, Lucio Prosperi della Fiamma, che incarna un Lucifero stanco di essere frainteso, ingabbiato nel cliché del “male assoluto”, e pronto a raccontare la verità. O almeno la sua.

Dimenticate capre e zoccoli, dimenticate fuoco e fiamme: questo Diavolo è elegante, arguto, ironico e… logorroico. Con uno stile da stand-up comedian consumato e un testo che unisce il ritmo comico alla profondità della riflessione, Prosperi ci accompagna in un viaggio esilarante dentro i grandi cortocircuiti dell’umanità.

Dal Paradiso Terrestre alle derive dei social, dalla scuola moderna al caos dei funerali, nulla viene risparmiato. E mentre le risate si susseguono, affiora anche il sospetto che, forse, questo Lucifero abbia più buon senso di quanto saremmo disposti ad ammettere.

La forza dello spettacolo sta nella sua abilità di alternare registri: si ride (molto), si resta spiazzati, si riflette, talvolta ci si commuove. “Che Diavolo Volete?” è costruito come un vortice narrativo dove l’apologo si fonde con l’invettiva, e dove la blasfemia è solo una maschera per smascherare ipocrisie, paure e assurdità collettive.

Il “disegno divino” viene decostruito con sarcasmo ma anche con una logica tagliente. Lucifero non vuole portare nessuno all’inferno, ma farci vedere quante volte ci finiamo da soli, semplicemente non pensando. E così, tra un’applauso e una risata, la domanda sorge spontanea: ma siamo proprio sicuri che il cattivo sia lui?

Lucio Prosperi dà corpo e anima a un Lucifero tragicomico, eloquente e magnetico. Lo fa senza mai strafare, mantenendo sempre un equilibrio perfetto tra provocazione e profondità. Il pubblico si diverte, ma sente anche di essere parte di qualcosa di più: un rito laico, una messa rovesciata dove non si invoca la redenzione, ma la coscienza.

E alla fine, quando cala il sipario, resta una sensazione insolita. Non quella di essere stati sedotti dal male, ma piuttosto di essere stati liberati – almeno per un’ora – dalla noia delle verità assolute.