Dal romanzo di Arianna Cecconi una messa in scena intensa e poetica, che intreccia memoria e identità attraverso la regia essenziale di Nino Sileci
Nel cuore di Testaccio, tra le mura cariche di storia del Teatro Vittoria, prende vita dal 20 al 25 maggio Teresa degli oracoli, adattamento teatrale dell’omonimo romanzo di Arianna Cecconi (Feltrinelli, 2020), firmato dalla compagnia romana Opificio03 e diretto da Nino Sileci. Vincitore della rassegna “Salviamo i Talenti 2024”, lo spettacolo si presenta come un’epopea familiare tutta al femminile, sospesa fra il dolore del non detto e la necessità urgente della verità.
Teresa, la protagonista silenziosa e immobile, costretta a letto come un oracolo del quotidiano, diventa centro gravitazionale attorno a cui ruotano le vite delle quattro donne della sua stirpe. Figlie, nipoti, sorelle – personaggi differenti ma connessi – si ritrovano dopo anni di distanze e silenzi, chiamate a un confronto che è insieme resa dei conti e tentativo di ricucitura. La morte, prossima ma non detta, costringe a fare spazio alla parola, e proprio in quel vuoto si insinua la forza del teatro.
Sileci opta per una regia asciutta, quasi scarnificata, in cui pochi oggetti – un tavolo da cucina, delle sedie, il letto – bastano a ricreare un intero universo domestico. Il letto stesso, realizzato in bachi da seta, è più di un semplice elemento scenico: è simbolo di una trasformazione profonda, evocazione tangibile di una tradizione familiare (la bachicoltura) che si fa metafora di ciò che lega passato e presente. È proprio quel filo invisibile, teso tra generazioni, che diventa il cuore pulsante dello spettacolo.
Sulla scena, due sole attrici danno voce a tutte le protagoniste, muovendosi con sorprendente fluidità tra i diversi ruoli. Il lavoro attoriale si distingue per rigore tecnico e sensibilità interpretativa, in una partitura costruita su mutamenti vocali e corporei, cambi d’abito fulminei e battute fuori campo che contribuiscono a delineare con chiarezza le figure femminili. Il risultato è un racconto corale, che pur nella sua frammentazione, restituisce un’unica, potente narrazione interiore.
Il suono, in questo spettacolo, non è semplice accompagnamento: cucchiai che sbattono, cassetti che si aprono, stoviglie che tintinnano, diventano elementi scenici vivi, capaci di disegnare spazi e amplificare emozioni. La quotidianità domestica si fonde così con l’onirico, in un continuo gioco di rimandi tra realtà e immaginazione.