


Contro una Juventus attendista e cinica, i biancocelesti evitano la sconfitta allo scadere: ancora un punto agrodolce, tra errori e orgoglio. Ora serve un’impresa vera.
Un altro pareggio, un’altra rimonta allo scadere, un’altra occasione per rilanciarsi forse persa. Ma anche, e soprattutto, un’altra dimostrazione di carattere. La Lazio acciuffa l’1-1 contro la Juventus al 97’ con Vecino, e tiene viva una corsa Champions che ormai ha i contorni di un romanzo a puntate. Un punto che non sposta gli equilibri, ma nemmeno chiude i giochi: il quarto posto resta lontano, ma non impossibile. E finché ci sarà margine, questa squadra continuerà a provarci. Con tutti i suoi limiti. Ma anche con tutto il suo cuore.
All’Olimpico, davanti a uno stadio carico d’attesa ma spesso gelato dall’andamento della gara, la Lazio parte bene, gioca, crea, ma – come troppo spesso accade – non finalizza. Il primo tempo è una vetrina di spunti interessanti, soprattutto sulla destra, dove Isaksen e Dele-Bashiru trovano spazi e accelerazioni, ma mancano di precisione e lucidità nell’ultimo tocco. La Juventus, abbottonata e paziente, colpisce con la freddezza di chi sa aspettare. Al 52’, sull’unica vera disattenzione difensiva della Lazio, è Kolo Muani a punire con un colpo di testa chirurgico su assist di McKennie.
Da lì, la Lazio si complica la vita. Ma la svolta arriva su un errore grossolano di Kalulu, che si lascia andare a un colpo ingenuo su Castellanos: espulsione inevitabile e superiorità numerica per oltre mezz’ora. Baroni cambia, spinge, osa. Dentro Pedro, Lazzari, Vecino, Dia. Fuori un impreciso Isaksen e un Rovella nervoso. Ma il forcing biancoceleste si scontra con un Di Gregorio in stato di grazia e una Juventus chiusa a riccio.
Il pareggio arriva nel modo più rocambolesco e laziale possibile: due miracoli in pochi secondi di Di Gregorio, prima su Dia e poi su Castellanos, ma non può nulla sulla ribattuta di Vecino, sempre lui, uomo delle notti pazze, che da due passi sigla l’1-1. Un gol che non fa esplodere l’Olimpico, lo scuote. Perché se da un lato mantiene accesa la fiammella Champions, dall’altro racconta ancora una Lazio incompleta, incostante, irrisolta.
Sette pareggi casalinghi in stagione, quasi tutti arrivati in extremis, sono il segno di una squadra che non muore mai, ma anche di una squadra che fatica a uccidere le partite. I cambi offensivi sono ormai il copione scritto di ogni secondo tempo, i finali sofferti una consuetudine, l’incapacità di gestire e concretizzare un problema cronico.
La prestazione non è priva di note positive: Mandas si conferma affidabile, Gila e Romagnoli tengono bene, Guendouzi offre ritmo e visione. Ma i problemi restano: Castellanos ha bisogno di essere innescato meglio, Isaksen è brillante ma impreciso, Dele-Bashiru alterna intuizioni e scelte sbagliate, mentre Pedro, pur entrando bene, non è più in grado di reggere 90 minuti di ritmo alto.
Sul piano della costruzione, la Lazio è apparsa a tratti ordinata ma troppo prevedibile, e nella gestione delle transizioni si è vista una squadra ancora lontana dalla solidità necessaria per le grandi imprese.
Il punto conquistato non chiude nulla, ma complica la rincorsa. La Lazio resta nel gruppetto che sogna l’Europa, con il quarto posto che ora impone un filotto finale da squadra vera, convinta e cinica. Il calendario non è proibitivo, ma servirà concretezza, quella che continua a mancare nei momenti decisivi.
La nota positiva è che, ancora una volta, questa Lazio non ha mollato. Non è bastato per vincere, ma è bastato per restare aggrappati a un sogno che sembrava già sfumato a inizio ripresa.






























