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Gasperini alla Roma: idee forti, gioco verticale e una sfida chiamata Capitale

Gian Piero Gasperini

Gian Piero Gasperini

foto: Andrea Staccioli/INSIDEFOTO

A Roma è arrivato Gian Piero Gasperini. E con lui non solo un nuovo allenatore, ma un’intera visione del calcio. Una visione strutturata, radicale, talvolta divisiva, ma che in Serie A ha lasciato il segno come poche altre. Ora che l’ex tecnico dell’Atalanta ha firmato per la Roma, la domanda che anima i bar e le radio della Capitale è la stessa: riuscirà il suo calcio a conquistare Trigoria e, soprattutto, i cuori della tifoseria romanista?

La risposta, come sempre, si scriverà sul campo. Ma per capirla, bisogna partire dalle fondamenta. Gasperini è un uomo di campo, di metodo, di convinzioni forti, costruite in diciotto anni di panchine e perfezionate con esperienze che lo hanno portato dalla Serie B alla vetta d’Europa, come nella storica notte di Dublino, quando la sua Atalanta travolse il Bayer Leverkusen e alzò l’Europa League.

Spesso etichettato come l’uomo della “marcatura a uomo”, Gasperini ha sempre respinto questa definizione: «Non ho mai fatto seguire un giocatore all’altro da una zona all’altra», ha spiegato in una lunga intervista a DAZN nel 2023. La sua è una zona aggressiva, una filosofia che parte dal pressing alto, dall’accorciare in avanti, dall’idea che la palla vada riconquistata, non aspettata.

Il modulo prediletto è il 3-4-3, ma dietro la scelta c’è un’evoluzione costante: «Difendere a tre l’ho scoperto viaggiando in Europa, vedendo l’Ajax. Non ho inventato nulla, ho copiato». Nella sua Roma vedremo quasi certamente quella retroguardia a tre che partecipa alla manovra e sale alta a marcare, ma senza dogmi rigidi. Il Gasperini maturo non è più il “talebano” del Genoa, come lui stesso si definisce, ma un tecnico capace di adattarsi, pur senza rinunciare alla propria identità.

Arrivato in A con il Genoa nel 2007, fu accolto dallo scetticismo di chi pensava che con la difesa a tre non si potesse vincere. Diciotto stagioni dopo, il calcio italiano lo ha seguito. Oggi quasi tutte le big usano tre centrali. E anche nel suo percorso, Gasp ha imparato dai suoi giocatori: Burdisso gli ha mostrato che si può marcare a uomo anche dietro, Papu Gomez gli ha fatto scoprire il trequartista, Kurtic e Cristante hanno plasmato le sue mezzali.

«Giocare bene è avere giocatori bravi tecnicamente», dice. Ma guai a pensare che il bel gioco sia un vezzo estetico: è la chiave per vincere. «Ho sempre cercato risultati attraverso il gioco. Li ho ottenuti ovunque, da Crotone a Bergamo». Il suo calcio non è solo pressing e verticalità, è una macchina fatta di incastri, movimenti, idee offensive continue. I suoi attaccanti non aspettano: agiscono, segnano, fanno segnare.

Alla Roma sarà lo stesso: un gioco ambizioso, spesso rischioso, ma che cerca sempre la porta. E anche se le sue squadre hanno concesso qualcosa dietro, Gasperini rivendica difese sempre nella media, se non superiori, alle posizioni di classifica.

Ogni seduta è progettata, analizzata, verificata. Il suo metodo affonda le radici nel settore giovanile: stimolare il singolo, esaltarne le doti, costruire convinzione. «Devo tirare fuori quello che il giocatore ha dentro. Lavoro sulla testa. Se lo convinci, hai vinto». Tecnica di base, cura dei fondamentali, personalizzazione: il campo di Gasperini è un laboratorio costante. E tutto parte dalla varietà: «Allenarsi sempre allo stesso modo crea assuefazione».

Nessun paternalismo, niente invadenze nella vita privata. Gasperini chiede tutto in campo, poco fuori. «Non sono il padre di famiglia. Mi interessa solo che l’atleta sia nelle condizioni giuste per rendere». Stimola, corregge, urla se serve, ma non per umiliare. E se un giocatore è affaticato, lo ferma. Il concetto è chiaro: il lavoro deve servire, non logorare.

Gasperini sbarca nella Capitale in un momento delicato. Il post-Ranieri ha lasciato ricordi forti e un entusiasmo popolare difficile da raccogliere. Inoltre, alcune sue dichiarazioni del passato – ritenute offensive da parte della tifoseria giallorossa – hanno alimentato diffidenza e tensione. L’ambiente è spaccato: c’è chi lo vede come un salto di qualità tecnico, chi come un corpo estraneo a Trigoria.

Il verdetto, come sempre, lo darà il campo. Solo i risultati, e il gioco che li accompagnerà, potranno ricucire lo strappo e accendere una nuova era. Perché a Roma, dove la passione per lo sport è totale, l’unica parola che conta davvero è una: vincere. E se il calcio di Gasperini riuscirà a farsi amare, allora anche il più scettico dei romanisti sarà pronto a riconoscere il merito di una scelta coraggiosa.