All’Olimpico è andata in scena una sfida che, al di là del risultato, ha messo a nudo identità, limiti e prospettive di due squadre che vivono momenti diametralmente opposti. La Roma, spinta da una motivazione emotiva collettiva — quella legata all’addio di Ranieri e al desiderio di riscatto dopo la sconfitta con l’Atalanta — ha mostrato una coesione e una determinazione che il Milan, stanco e fragile, ha faticato a pareggiare. Ma è sul piano tattico che il confronto si è rivelato più illuminante.
La squadra giallorossa è apparsa in crescita sotto il profilo mentale e organizzativo. Il 3-5-2 disegnato da Ranieri — con Soule e Shomurodov a formare un tandem offensivo mobile, supportato da un centrocampo equilibrato e da esterni capaci di interpretare entrambe le fasi — ha garantito compattezza e possibilità di attaccare con efficacia. La presenza di Paredes in regia ha dato ordine alla manovra, mentre Cristante e Kone hanno dato muscoli e inserimenti, come dimostrato proprio in occasione del gol decisivo del 2-1.
In fase difensiva, la Roma ha beneficiato della solida prestazione di Mancini, sempre puntuale sulle palle inattive e pronto a guidare il reparto. Il pressing è stato intelligente, non forsennato, ma efficace nei momenti chiave. Non a caso il Milan ha prodotto poco fino alla fine del primo tempo, faticando a trovare sbocchi tra le linee, specie dopo l’espulsione di Gimenez. Nella ripresa, la Roma ha gestito e colpito nei momenti giusti, facendo valere la profondità della rosa con i cambi (decisivi El Shaarawy e Baldanzi).
Il Milan è apparso appesantito non solo fisicamente, ma anche nelle idee. Il 3-4-2-1 proposto da Pioli ha mostrato fin da subito crepe evidenti: in fase di costruzione, la squadra ha faticato a dare continuità all’azione, affidandosi spesso a iniziative individuali — in primis quelle di Pulisic e Joao Felix, l’unico realmente efficace nei primi 45 minuti.
L’espulsione di Gimenez ha inevitabilmente condizionato la gara, ma è nel secondo tempo che è emersa tutta la fragilità mentale e strutturale dei rossoneri. I cambi (con l’ingresso di Leao e Jovic) non hanno dato lo scossone atteso, anzi: la squadra si è abbassata troppo, perdendo campo e concedendo spazio a una Roma ben più lucida.
In particolare, il centrocampo ha sofferto: né Loftus-Cheek né Reijnders sono riusciti a garantire filtro e costruzione, mentre la retroguardia, pur ben schierata nei primi minuti, è andata in difficoltà nel finale contro una Roma che ha saputo allargare il campo e sfruttare le corsie esterne. Il gol di Cristante, costruito su una seconda palla gestita malissimo da tutta la linea difensiva milanista, è il manifesto di una squadra che ha perso brillantezza e compattezza.
Se il Milan pare in traiettoria discendente, alla ricerca di un’identità e di una motivazione che sembrano evaporate dopo la delusione della Coppa Italia, la Roma appare invece in ripresa emotiva e tattica, sostenuta da un impianto solido e da un gruppo che si muove in sinergia. Non è un caso che, mentre i rossoneri devono aggrapparsi ai risultati altrui per sperare in un posto in Europa, i giallorossi sembrano aver ritrovato non solo risultati, ma anche senso del collettivo.
In questa fase decisiva della stagione, la differenza tra le due si gioca proprio qui: nella forza della testa, nell’identità riconoscibile e nella capacità di gestire pressione e attesa. Roma ora sa che può guardare avanti con fiducia. Il Milan, invece, dovrà ricostruirsi dalle fondamenta.