L’1-0 sulla Fiorentina regala alla Roma tre punti pesantissimi e una sensazione sempre più concreta: il destino europeo, stavolta, è nelle mani giallorosse. In un campionato che sembrava smarrito, Ranieri e i suoi l’hanno rimesso in carreggiata. E ora la volata è tutta da vivere.
Visto l’approccio alla gara, le premesse erano fin troppo chiare. La Fiorentina, ancora immersa nella rincorsa europea e con la mente inevitabilmente divisa tra Serie A e Conference League, avrebbe potuto cedere qualcosa. La Roma, dal canto suo, era chiamata a non lasciare nulla al caso. Niente regali, niente pause, niente sentimentalismi. Solo punti.
Non è stata una Roma spettacolare, né lo si chiedeva. Era, piuttosto, una Roma chiamata a fare ciò che in questo momento sa fare meglio: gestire. Il verbo più ripetuto, più utilizzato e – a tratti – più sottovalutato del vocabolario calcistico moderno è diventato il marchio di fabbrica di una squadra che ha imparato a misurare le proprie forze, e lo fa con un’efficacia quasi chirurgica.
L’1-0 finale, che oggi vale tre punti e un altro balzo in avanti verso l’Europa, è figlio proprio di questa filosofia. Niente fuochi d’artificio, ma attenzione ai dettagli, capacità di soffrire nei momenti giusti e scelte ponderate. Ranieri non ha mai perso il polso della situazione, soprattutto quando ha dovuto pescare dalla panchina: Gourna-Douath e Pisilli non sono entrati per difendere un fortino, ma per tenere alta la temperatura emotiva e atletica della squadra.
C’è una consapevolezza nuova nei giallorossi. Dopo mesi in cui l’orizzonte sembrava limitarsi alla gestione dell’emergenza, oggi si percepisce che il gruppo ha una direzione. E soprattutto, una possibilità. Con i famigerati 63 punti – ormai simbolo di un traguardo che profuma di Champions – e altri nove ancora a disposizione, la Roma non è più a caccia di miracoli. È pienamente dentro al discorso.
Ed è forse questo il dato più importante: essere padroni del proprio destino. Una notizia enorme per chi, solo qualche settimana fa, era alle prese con più dubbi che certezze. Il vantaggio di non avere coppe europee da giocare è stato sfruttato nel modo più razionale possibile. E se da un lato questo porta con sé un rimpianto inevitabile per ciò che poteva essere, dall’altro rappresenta un’arma in più in vista del rush finale.
La prossima tappa è una di quelle che non si possono sbagliare. L’Atalanta è la squadra che più di ogni altra incarna il concetto di intensità. Corre, pressa, non molla mai. Ma anche la Roma arriva con un’identità forte, che oggi si esprime più nella resistenza che nella proposta, più nella compattezza che nella creatività. È una sfida che somiglia moltissimo a quella dello scorso anno, quando entrambe rincorrevano l’Europa in parallelo, ma stavolta senza l’ingombro psicologico delle semifinali europee.
Il match con la Fiorentina, per certi versi, è stato la prova generale. La Roma ha dimostrato di saper vincere senza entusiasmare, ma con la testa alta e il sangue freddo. Un marchio Ranieri che, al netto delle differenze rispetto al passato, resta sempre sinonimo di equilibrio, disciplina e senso della misura.
Il merito più grande di questa Roma non è tanto quello di vincere, quanto di non lamentarsi più. Di non cercare alibi, di non sprecare energie fuori dal campo. È una squadra che si è scrollata di dosso la frenesia e ha deciso di costruire passo dopo passo, accettando anche i limiti e lavorandoci sopra. Nessuno si illude, ma nessuno rinuncia a crederci.
La Roma, oggi, non sogna. Progetta. E questa, per una volta, è una differenza fondamentale.