Ognuno si ricostruisce il monumento a modo suo, l’importante è adoperare pietre autentiche. Li ho rivisti, erano nello stesso posto dello scorso anno, sulla sinistra, accanto al primo varco per lasciarsi alle spalle i cancelli dello Stadio Olimpico. Era come se non fosse passato un solo secondo dall’anno scorso. Ci davano dentro, esattamente come dodici mesi fa, con soli due giorni di anticipo. Suonavano ancora quella canzone magnifica di Steve Wonder, “Don’t You Worry ‘Bout a Thing”.
Allora ho ripensato a quel folle di Philippe Petit che dopo aver attraversato le Torri Gemelle, da quella Nord a quella Sud, implorato dai poliziotti di New York che si sporgevano dal tetto per cercare di metterlo in salvo, fa dietro front continuando a camminare sospeso su un cavo di pochi centimetri a più di quattrocento metri di altezza dal suolo.
Non gli basta, a metà del tragitto, quel funambolo insuperato si inginocchia in atto di devozione verso la città che gli ha permesso di compiere quell’impresa straordinaria. Piega le ginocchia e abbassa il capo per ringraziare, ringraziare la sua vita che pulsa, ringraziare di essere tra gli altri, ringraziare tutte le persone che riesce a vedere e a stringere tra le sue braccia.
Ognuno se lo ricostruisce a modo suo il monumento, lo scriveva Marguerite Yourcenar nei taccuini di Memorie di Adriano, chissà quanto ci ha messo del suo in quel capolavoro su uno degli imperatori più visionari che abbia mai avuto la nostra città. Per questo quando li ho visti là, a darci dentro con quella canzone di Steve Wonder, ho riavvolto il nastro della memoria; allora ho voluto inginocchiarmi anch’io, ho voluto anch’io rendergli omaggio in segno di riconoscimento per quello che stavano facendo, insieme a tanta altra musica che mi aveva accompagnato e che mi ero lasciato alle spalle.
Non c’eravamo solo noi a correre, alla Miguel c’era l’abbraccio del mondo. Allora ho alzato le mie braccia per salutarli, e poi le ho abbassate come in preghiera a mani giunte, per ringraziarli della spinta e del calore che mi stavano dando prima di imboccare il tunnel dello Stadio e liberare le mie gambe nell’ultima curva della felicità.