Più di seimila persone per un allenamento. Numeri da record, emozioni vere, un ritorno che va oltre il tennis. Jannik Sinner è tornato sul campo, e lo ha fatto come solo lui sa fare: in punta di piedi, ma con il mondo che guarda.
La terra rossa di Roma lo ha accolto con quel misto di trepidazione e affetto che solo una città madre sa offrire. Il cielo è incerto, l’aria è sospesa, il Centrale pullula di gente e tensione: è il giorno del ritorno di Jannik Sinner, dopo tre mesi lontano dai campi per una squalifica che ha fatto rumore, ma che ora sembra già alle spalle. Lui, il numero uno del mondo, torna nel posto che più ama, e che lo ama a sua volta. Nessuno prima d’ora, nella storia del tennis, aveva attirato così tanto pubblico per un semplice allenamento. Forse solo Federer, qualche anno fa, a New York. Ma oggi è Sinner a raccogliere quell’eredità emotiva, ed è tutto fuorché una sorpresa.
Sul campo si gioca, ma si respira altro. C’è il boato all’ingresso, ci sono i cori, ci sono gli applausi dopo ogni scambio. C’è il rispetto e c’è la commozione. Per quasi due ore, Jannik scambia con il ceco Lehecka, sotto gli occhi attenti di Darren Cahill e Simone Vagnozzi. Si alternano accelerazioni da fondo campo, gioco a rete, servizi, smash. Il primo set simulato va a Lehecka, 6-4. Il secondo è più breve, 3-2 per il nostro. Poi un tie-break vinto dal ceco 7-4. Ma il punteggio, oggi, non interessa a nessuno. L’unica vera vittoria è rivederlo lì.
Sinner lo sa. E si concede, ma con misura. Parla poco, come sempre. Concede un pensiero, però: “Ho sensazioni strane, non so cosa aspettarmi. Il mio obiettivo è Parigi, ma intanto sono felice di essere qui”. È la sincerità disarmante a renderlo diverso. Non cerca alibi, non invoca rivincite. Dice solo la verità: “In questo periodo mi sono sentito un po’ solo. Mi hanno scritto colleghi da cui non mi aspettavo nulla, mentre altri – da cui pensavo qualcosa – non si sono fatti sentire”. Non fa nomi, non serve. Basta l’ombra che attraversa il suo sguardo. Si è aggrappato a chi c’era: “Jack (Draper) e Sonny (Sonego) sono stati importanti”. E allora tutto torna. Il tennis è un gioco individuale, ma l’umanità resta collettiva.
Lunedì, al Foro Italico, sembrava di essere tornati ai tempi d’oro dello sport: inseguimenti da un angolo all’altro, bambini con il viso pitturato, signore con le magliette “Jannik ti amo”. Tutti pazzi per la Volpe Rossa. Già da oggi l’appuntamento è sul campo 7 con Sonego, ma il vero debutto sarà sabato, con ogni probabilità nel tardo pomeriggio, contro l’argentino Navone o il giovane Cinà, gioiellino azzurro appena sbocciato. È testa di serie numero uno, e nel tabellone potrebbe incrociare Alcaraz solo in finale. Ma guai a fare previsioni. Lo dice lui stesso: “Non sono qui per battere chiunque. Voglio superare il primo turno, poi vediamo”. Umile, realistico. E soprattutto centrato. “La cosa più importante è tornare a giocare davanti a tanta gente. C’è felicità, ma anche pressione. Magari qualche dubbio. Però non ho paura. Ho lavorato bene, un passo alla volta”.
La testa è già proiettata su Parigi, ma il cuore batte qui. Roma è più di una tappa. È una rinascita. Intanto si allena, sorride, si racconta a modo suo. “Credo che mi apprezzino per quello che sono. Sono un ragazzo onesto. Non mi sono mai montato la testa. Vengo da un paese di duemila abitanti, sono cresciuto sulla neve. Ritrovarmi qui è tanta roba, ma io resto lo stesso”. La leggenda metropolitana della suite a lui riservata viene subito smentita: ha una stanzetta sopra il bar del tennis, come tanti altri. Un divano, una TV, un tavolino. Nessun lusso. Divide gli spogliatoi e la sala massaggi con tutti. È questo, forse, che fa la differenza.
Sinner non vuole rivincite. Non cerca vendette. Vuole solo fare quello che ama: giocare a tennis. E se il cielo di Roma si schiarirà, lo farà insieme al suo sorriso. Bentornato, Jannik. Senza proclami, ma con il rispetto che meritano i più grandi. Anche – e soprattutto – nei giorni difficili.