Roma non è più la città cartolina che, fino a pochi anni fa, nel giorno di ferragosto mostrava piazze deserte, saracinesche abbassate e un silenzio irreale rotto solo dal canto delle cicale. I dati diffusi dall’Ente Bilaterale del Turismo raccontano un’altra storia: nella sola giornata di ieri si sono registrati 644 mila arrivi e 1,68 milioni di presenze. Un record che segna una svolta storica e che impone una riflessione profonda sul modello di accoglienza e di commercio che la Capitale intende adottare per il futuro.
Passeggiare ieri per le vie del centro è stato come attraversare una città in perenne movimento. Colosseo, Fori, Piazza Navona, Pantheon, Fontana di Trevi: ogni monumento era circondato da un mare di turisti e da romani rimasti in città, spesso attirati dagli eventi dell’Estate Romana e dal richiamo delle attività commerciali. Non solo il centro storico, ma anche quartieri come Trastevere, Testaccio e Monti hanno registrato un afflusso costante, trasformando il Ferragosto in un palcoscenico diffuso. Roma, di fatto, non si svuota più.
Il pienone ha avuto un impatto diretto e tangibile sull’economia locale. Le gelaterie hanno visto crescere le file ben oltre il tramonto, i bar sono stati presi d’assalto, i supermercati hanno lavorato a pieno ritmo, i negozi di abbigliamento e souvenir hanno beneficiato della spinta dei saldi estivi. Tutto sembrerebbe indicare un sistema commerciale in salute, trainato da una domanda inesauribile. Ma scavando appena sotto la superficie, emergono contraddizioni e paradossi che raccontano un’altra Roma, ancora ferma a logiche di gestione antiquate.
Molti locali storici, persino quelli celebrati proprio oggi sul Fnancial Times, continuano a chiudere le serrande nel tardo pomeriggio, rinunciando a intercettare la domanda serale come nel caso di una famoza torrefazione in zona Pantheon. In un contesto di piena globalizzazione e di flussi turistici che non conoscono pause, questa scelta appare come un’occasione sprecata. È il sintomo di una città che non ha mai davvero elaborato una politica di lungo periodo sulla gestione del commercio e sugli orari di apertura, lasciando che ogni esercente si muova secondo regole proprie, spesso dettate più dall’abitudine che da una strategia.
Il dibattito è acceso e si consuma soprattutto sui social, dove la richiesta di chiusura domenicale e festiva dei negozi trova sostegno tra i lavoratori del commercio. Gli addetti denunciano turnazioni massacranti e orari poco compatibili con la vita privata, mentre gli esercenti rivendicano la necessità di sfruttare le giornate festive come momenti chiave per la sopravvivenza delle attività. A fare da terzo incomodo sono i centri commerciali, spazi che attraggono clienti grazie alla comodità dei servizi e all’aria condizionata, ma che diventano il simbolo della precarietà di chi vi lavora, spesso costretto a rinunciare a diritti e tutele.
Il punto, però, è un altro. Se Roma vuole continuare a essere capitale del turismo mondiale, deve interrogarsi su quale modello commerciale intenda adottare. Restare ostaggio di un sistema frammentato e antiquato rischia di compromettere non solo le opportunità economiche, ma anche la percezione stessa della città. Se le teori della seconda metà del ‘700 di Adam Smith hanno dato un potente cambiamento produttivo sfoc ialo poi pericolosamente nell’eccesso con il Fordismo, nella logica commerciale locale nulla si è mai evoluto se non nell’aspetto meramente estetico e luccicoso. È qui che si inserisce la questione del nuovo quadro legislativo: non si tratta soltanto di regolare gli orari di lavoro e garantire turnazioni più eque, ma di pensare agli orari estesi per zone come ad uno strumento di utilità sociale.
Aprire i negozi fino a tarda sera, ad esempio, non significherebbe soltanto incrementare i guadagni. Vorrebbe dire rendere vive e sicure intere aree urbane, offrendo ai turisti e ai cittadini spazi di aggregazione che vadano oltre i monumenti. Significherebbe ripensare il commercio come infrastruttura sociale, capace di garantire presidi di vivibilità, occasioni di incontro e persino un deterrente per il degrado. In una città che vive ormai di turismo a ciclo continuo, il commercio potrebbe assumere un ruolo nuovo, più ampio e più responsabile.
Ma perché questo accada è necessario un passo avanti deciso da parte delle istituzioni. Roma ha bisogno di una legislazione moderna che definisca standard minimi di tutela per i lavoratori, crei nuovi posti attraverso una distribuzione intelligente dei turni e, al tempo stesso, incentivi gli esercenti a restare aperti più a lungo oltre che, naturalmente, forme di controllo della qualità lavorativa. Un modello capace di trasformare l’afflusso turistico da opportunità episodica a risorsa strutturale, capace di ridare dignità al lavoro e modernità all’offerta commerciale.
I numeri di ieri, 644 mila arrivi e oltre 1,6 milioni di presenze in un solo giorno, non sono soltanto un dato numerico. Sono il segnale che Roma è ormai capitale di un turismo che non conosce stagioni né soste. Una città che, se saprà cogliere questa occasione, potrà finalmente trasformare la sua vocazione turistica in un volano di sviluppo equilibrato e sostenibile. Se, invece, continuerà a oscillare tra chiusure anticipate, scelte frammentarie, usando accordi di cartello solo per quanto riguarda I prezzi dei beni, rischia di restare prigioniera delle sue contraddizioni.
Roma oggi non è più la città vuota di Ferragosto. È una metropoli pulsante, percorsa da energie e contraddizioni, affollata di lingue, volti e storie. La sfida non è solo accogliere, ma farlo bene, con regole moderne e visione strategica. Perché essere capitale del turismo mondiale non basta: bisogna diventare capitale della modernità.
