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Non per noi, ma per tutte e tutti

È arrivato il momento di liberarsi da una visione pessimistica dell’essere umano e agire per costruire davvero la pace. Non per noi ma per tutte e tutti! A colloquio con Elisa Sermarini della Rete dei Numeri Pari.

Lo ammetto. Il termine rete, come il sinonimo sistema, mi ha sempre affascinato con il suo riferimento a un insieme di elementi interconnessi che collaborano o interagiscono per raggiungere uno scopo comune o condividere risorse. Questi elementi possono essere di natura molto diversa, a seconda del contesto in cui il termine viene utilizzato. In sintesi, il termine “rete” è un concetto fondamentale per descrivere sistemi complessi dove l’interconnessione e l’interazione tra i componenti sono elementi chiave.

Inoltre, il termine rete mi riporta inesorabilmente all’esperienza personale della Rete di Lilliput, nata nel 1999 e promossa dal missionario comboniano Alex Zanotelli e da una serie di associazioni e campagne. La Rete di Lilliput coordinava gruppi e associazioni contro “le scelte economiche che concentravano il potere nelle mani di pochi e che anteponevano la logica del profitto e del consumismo alla salvaguardia della vita, della dignità umana, della salute e dell’ambiente”. E la Rete dei Numeri Pari sembra proprio averne preso il testimone. Ma di cosa si occupa? Seguendo la sua antenata anche la Rdnp ha come obiettivo il contrasto alla disuguaglianza sociale per una società più equa fondata sulla giustizia sociale e ambientale.

Ne parliamo con Elisa Sermarini, responsabile della comunicazione della Rete Dei Numeri Pari.

 

Elisa, per chi ancora non la conoscesse, può spiegare in poche parole qual è la missione principale della Rete dei Numeri Pari e quali sono gli ambiti di intervento più urgenti su cui vi concentrate?

La Rete dei Numeri Pari ha come obiettivo il contrasto alla disuguaglianza sociale per una società più equa fondata sulla giustizia sociale e ambientale.

La Rete – che prende idealmente il testimone dalla campagna Miseria Ladra lanciata da Gruppo Abele e Libera – unisce centinaia di realtà sociali diffuse in tutta Italia che condividono l’obiettivo di garantire diritti sociali e dignità a quei milioni di persone a cui sono stati negati (associazioni, cooperative sociali, movimenti per il diritto all’abitare, reti studentesche, centri antiviolenza, parrocchie, comitati di quartiere, sindacati, campagne, circoli culturali, scuole pubbliche, biblioteche popolari, centri di ricerca, presidi antimafia, progetti di mutualismo sociale, spazi liberati, fabbriche recuperate, reti e fattorie sociali). La Rete dei Numeri Pari non pretende di generare una nuova struttura, ma promuove il coordinamento delle realtà già esistenti che ne fanno parte su obiettivi condivisi; sviluppa strumenti e opportunità di cooperazione nel territorio, in luoghi dove non esistono; mette a disposizione meccanismi di partecipazione in modo che siano sostenibili non solo per gli attivisti e le attiviste, ma per la cittadinanza in generale; promuove attività e progetti che rafforzano la partecipazione, prendendo decisioni che siano vincolanti.

La Rete ritiene che l’unico modo per essere credibili agli occhi delle persone che vivono in condizioni difficili sia sporcarsi le mani praticando attività di mutualismo. In questo modo, mentre si realizzano campagne e proposte politiche, si creano soluzioni concrete per rispondere nel breve termine alla condizione materiale delle persone. Per questo la Rete è stata studiata dal 2020 al 2022 dal Gran Sasso Science Institute con la ricerca La pienezza del vuoto: studio e analisi delle pratiche di mutualismo solidale della Rete dei Numeri Pari.

I Numeri Pari si rivedono nella visione dell’ecologia integrale che mette al centro la necessità urgente di un cambio strutturale definitivo del modello produttivo e di sviluppo affinché la vita sia degna. Per questo riteniamo prioritario:

  1. mettere l’economia al servizio dei popoli;
  2. costruire la pace e la giustizia;
  3. difendere la Madre Terra.

La Rete dei Numeri Pari è composta da diverse realtà e movimenti. Come riuscite a coordinare e unire queste diverse voci sotto un’unica visione e a far emergere la complessità delle problematiche che affrontate?

La Rete si impegna a rafforzare l’azione tra realtà con una modalità alla pari e si articola in Nodi territoriali composti dai soggetti iscritti che in maniera autonoma promuovono attività, vertenze e progetti sui territori. Al livello nazionale poi condividono l’impegno e gli obiettivi comuni contenuti nell’Agenda sociale. Stiamo insieme sulle questione e sulle vertenze che ci trovano d’accordo senza voler parlare di tutto o mettere i voti a chi non è d’accordo con noi. Condividiamo pratiche e obbiettivi comuni utilizzando forme di democrazia partecipativa e comunitaria che garantiscono orizzontalità, massima partecipazione e trasparenza nella presa di decisione, rispondendo così alla grave crisi della rappresentanza politica che continua a ridurre gli spazi della partecipazione e della deliberazione, aumentando ulteriormente le disuguaglianze.

L’abbiamo ammirata sul palco ad aprile durante una delle tante manifestazioni contro guerra e riarmo, sottolineando che “a noi interessa cosa si fa una volta scesi dal palco”. Qual è la vostra posizione in merito e le azioni conseguenti?

Quella è stata una manifestazione dal nostro punto di vista molto importante. è stata un segno di cambiamento rispetto ai toni e agli argomenti con cui si parlava di guerra, di Palestina, di Ucraina e delle possibili soluzioni. Si diceva chiaramente che non è destinando 800 miliardi al riarmo europeo che si costruisce la Pace. Come rete sociale siamo stati tra i soggetti promotori che hanno lanciato la campagna europea Stop rearm Europe lo scorso maggio. Abbiamo organizzato una manifestazione nazionale il 21 giugno scorso e tanti appuntamenti locali in tutto il Paese per dire “No guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo”. Questo piano renderà la guerra più probabile e il futuro meno sicuro per tutte e tutti. Genererà più debito, più austerità, più confini. Approfondirà il razzismo. Alimenterà il collasso climatico. Non abbiamo bisogno di più armi; non abbiamo bisogno di prepararci ad altre guerre. Per la nostra sicurezza non servono più armi, ma investimenti per la salute pubblica, per i diritti sociali, l’istruzione, il lavoro. Sicurezza, nel tempo della crisi ecologica, vuol dire investimenti per la riconversione del nostro modello produttivo e industriale, l’unica strada per creare lavoro degno e giusto, redistribuire la ricchezza, garantire la salute pubblica, rispettare il diritto alla partecipazione dei cittadini e delle comunità locali, riducendo contemporaneamente le emissioni di gas climalteranti.

Chiunque abbia buon senso e accesso alle informazioni sui cosiddetti planetary bounderies (i limiti planetari) su cui da anni ci mettono in guardia Nazioni unite, scienze e movimenti per la giustizia ambientale farebbe questo. Non è il caso della Ue e della maggioranza del Parlamento europeo che con le politiche di riarmo hanno tagliato gli investimenti per il Green new deal dirottandoli per la guerra. L’ultima risoluzione del Parlamento europeo sulla politica di sicurezza e difesa comune corrisponde a una dichiarazione di guerra. Definisce la Russia la minaccia più grande per noi europei, la Cina come nemico globale, si impegna a promuovere programmi di addestramento dei giovani civili alla difesa armata e conferma gli 800 miliardi di euro per il riarmo dell’Europa. Le uniche spese fuori dai vincoli imposti dalle politiche di austerità.

Chi governa l’Europa, come il nostro Paese, con le sue scelte sta dichiarando guerra all’umanità e alla Terra. Il riarmo è una scelta ideologica del partito unico della crescita economica e della guerra. Mentre cooperazione, riconversione ecologica, giustizia climatica e disarmo sono necessità planetarie. Perché siamo umani e la nostra prosperità, come il nostro futuro, dipendono dalla qualità dello scambio, dalla relazione e dalla cooperazione con tutte le altre entità viventi. Questa è la traccia del nostro percorso e delle azioni che ci porteranno fino alla Cop 30 di Belem.

Siete impegnati anche nella difesa dell’ambiente. Cosa state proponendo in questo ambito?

 All’interno della Rete ci sono molti comitati nati da conflitti ecologico distributivi da Nord a Sud del Paese. Lo scorso maggio eravamo a Verona per l’incontro dei movimenti popolari con Papa Francesco e in quell’occasione abbiamo scritto con le oltre 100 realtà che erano lì una piattaforma che abbiamo chiamato “Fragilità e interdipendenza. Dalla geografia della speranza all’internazionale della Terra. Il punto di vista e le proposte dei movimenti italiani in vista delle elezioni europee. Un documento che è stato sottoscritto da oltre 700 realtà e che oggi rappresenta la base di un’alleanza larga che ci vede tutte e tutti impegnati per il post sviluppo e la riconversione ecologica.

A settembre avremo l’onore di conoscere Sharon Lavigne, leader indigena afroamericana della comunità di Rise St. James in Louisiana premio Goldman nel 2021. Sarà in Italia in occasione della Scuola di alta formazione gratuita per giovani ecoattivisti ed ecoattiviste organizzata dalla Scuola Gea dal 5 al 7 settembre a Trevignano Romano. Con lei stiamo costruendo un percorso insieme, movimenti italiani e statunitensi, verso la Cop30 di Belem. Lo lanceremo con un’assemblea pubblica il prossimo 8 settembre a Roma presso la Casa della Solidarietà Stefano Rodotà e in parlamento nei giorni successivi.

Prima di congedarci non posso non chiedere della vostra presenza lo scorso anno all’Arena di Pace, insieme a Papa Francesco e Alex Zanotelli. Cosa vi siete riportati da quell’esperienza?

Innanzitutto, la bellezza di esserci ritrovate con tante e tanti. Noi siamo una rete laica del quale fanno parte realtà laiche e religiose accomunate da obiettivi condivisi e una visione comune. Aver avuto la possibilità di ritrovarci per tre giorni nello stesso luogo ci ha dato la possibilità di scambiare di più e meglio, tanto che poi abbiamo dato vita al documento che citavo nelle domande precedenti. Francesco è stato il primo a mettere al centro i temi dell’ecologia integrale e della relazione tra gli esseri viventi – senzienti e non – e la Terra, partendo dalle consapevolezze e i saperi dei popoli del Sud. Per questo gli siamo molto riconoscenti.

Ringrazio molto per la disponibilità e per aver condiviso le esperienze della RdNP. Abbiamo toccato diversi punti interessanti. C’è qualcosa che si può aggiungere prima di concludere?

Purtroppo per il momento non posso aggiungere di più quanto ho già detto ma continuate a seguirci sul nostro sito e sui canali social della Rete (Fb e Ig) perché a breve lanceremo degli appuntamenti molto importanti.

Latino America, Calle 13