Bernini si ispirò nella realizzazione del progetto ad una xilografia contenuta nell’Hypnerotomachia Poliphili, libro stampato a Venezia nel 1499, mentre Ercole Ferrata lo realizzò.
L’elefantino, dalle fattezze un po’ arrotondate, che gli valsero il soprannome di “pulcino della Minerva”, poggia su un basamento su cui è incisa un’iscrizione latina, che tradotta cita: “Chiunque qui vede i segni della Sapienza d’Egitto scolpiti sull’obelisco, sorretto dall’elefante, la più forte delle bestie, intenda questo come prova che è necessaria una mente robusta per sostenere una solida sapienza”.
Se si osserva la scultura non passano inosservate le terga rivolte verso il convento e la coda in movimento. Sembrerebbe che Bernini lo abbia pensato così per salutare l’ottusità dei frati, ed in particolar modo il domenicano Giuseppe Paglia che, dopo aver visto il suo progetto bocciato, riuscì a far modificare quello di Gian Lorenzo, che mal sopportò l’intromissione. Con questa trovata del saluto ai domenicani, il maestro del barocco diede l’ennesima dimostrazione del suo spirito un po’ goliardico, ricordato anche in altri episodi della sua vita professionale.
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