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La Capitale si spegne all’ora dell’aperitivo: negozi chiusi, turisti delusi

serrande abbassate a Roma

foto: Riccardo Piccioli

Ore 19:30. Roma chiude. Chiudono le vetrine, si abbassano le saracinesche, si spengono le luci dei negozi. Restano solo i ristoranti e le pizzerie, mentre il centro storico, cuore pulsante e vetrina internazionale della Capitale, si svuota di ogni attrattiva commerciale. Una scena surreale, se pensiamo che siamo nella capitale d’Italia, una delle città più visitate al mondo, attraversata ogni giorno da fiumi di turisti affamati di bellezza, sì, ma anche di esperienza, di vita urbana, di shopping, di vitalità. E invece, alle 19:30, Roma tira giù il sipario. E i turisti? Guardano, si fermano, si domandano se sia normale. No, non lo è.

Ci si interroga, spesso con rassegnazione, su cosa stia diventando il centro storico. Un tempo brulicante di botteghe, di negozi aperti fino a tardi, di commessi sorridenti e vetrine accese che raccontavano la Roma più autentica. Oggi è un gigantesco fondale cinematografico, bellissimo quanto statico, inanimato dopo l’ora dell’aperitivo. Un problema non solo d’immagine, seppur anche questo sia grave, ma di servizio. Perché chiudere a quell’ora in una città come Roma non è una semplice scelta imprenditoriale: è un segnale di disinteresse verso il contesto in cui si opera, verso la città stessa e il suo respiro sociale e culturale.

E qui il paradosso si fa amaro: sono proprio molti commercianti a lamentarsi sui social, nei talk, nelle interviste, contro l’invasione dei centri commerciali, aperti fino a sera tardi, pieni di offerte e di servizi. Ma, a conti fatti, quei centri almeno restano aperti. Sanno che il commercio si fa anche, e soprattutto, quando la gente è libera dal lavoro, quando il passeggio si trasforma in occasione, quando il turista esce dall’hotel e si aspetta di vivere una città viva, non un museo spento.

Il punto è che il commerciante, oggi, non è solo un operatore economico: è anche un presidio sociale, un aggregatore, un punto di riferimento per cittadini e visitatori. Svolge un ruolo che va ben oltre la vendita. Dovrebbe, almeno. Invece ci si arrende all’idea che “tanto il turismo arriva lo stesso”, e così si continua ad accogliere orde di visitatori con saracinesche abbassate, prezzi gonfiati, personale carente e orari da cittadina di provincia. Si continua a raccontare che “non c’è personale” per giustificare l’assenza di turni più lunghi, ma la realtà è un’altra: non si investe, si tira a campare.

Perché sì, in molti casi i commercianti del centro non hanno bisogno di fidelizzare clienti: il flusso turistico garantisce comunque entrate. E allora perché fare lo sforzo di ampliare l’organico, di prolungare l’orario di apertura, di restare competitivi rispetto alle grandi capitali europee dove le vie dello shopping sono animate fino a tarda sera?

Siamo casualmente in una via Ottaviano diventata da poco area pedonale, in zona San Pietro, nell’anno del giubileo, nel periodo del vecchio e nuovo Papa, un massiccio afflusso di turisti. Ore 19,30: via Ottaviano con il sipario abbassato, le zone limitrove non sono da meno, via via fino a viale Giulio Cesare, ed ancor via Leone IV, fino a tutta Prati, compresa una via Cola di Rienzo un tempo salotto bello di uno struscio amato dai romani.

Nel frattempo, però, Roma ci perde. Ci perde in immagine, in attrattività, in modernità. E alla lunga ci perderà anche economicamente. Perché il turismo è sì una gallina dalle uova d’oro, ma anche un pubblico esigente, che sa confrontare, scegliere, raccontare. E se una città come Roma non è in grado di offrire un servizio commerciale degno della sua fama, finirà con il deludere le aspettative. E un turista deluso non torna. E soprattutto non consiglia.

Ci vorrebbe un patto, una visione condivisa, una responsabilità collettiva. I commercianti devono tornare a crederci, a scommettere su Roma, a restare aperti quando la città è viva. E le Istituzioni dovrebbero sostenerli davvero, incentivando turnazioni, riducendo i costi, premiando chi offre un servizio continuativo e di qualità. Perché la Capitale d’Italia non può chiudere i battenti alle 19:30. Non è solo un’occasione persa. È una resa.