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Presentato il libro “Un’altra possibilità” di Andrea Maccari all’Ospedale Sandro Pertini di Roma

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foto: Marco Contorno

La storia di Andrea Maccari, un operatore sanitario duramente colpito dal Covid con cui ancora oggi fa i conti, e la ricerca di un’altra possibilità è l’occasione di analisi del periodo pandemico

Andrea Maccari, infermiere, in prima linea durante lo scoppio dell’emergenza sanitaria più grande degli ultimi secoli. Una lotta verso l’ignoto, uno sforzo che non ha regole perché il nemico non si conosce. Siamo nel 2020 è appena scoppiato il COVID, un virus venuto da vicino o da lontano, o da dove esattamente non c’è certezza. Quello che è certo è che una guerra contro l’ignoto è iniziata. Medici, infermieri, negli ospedali scavano le loro trincee, alzano barriere grazie ai tamponi molecolari, agli hub che sorgono, ai drive in. Iniziano le file chilometriche in cerca del tampone che indica il contagio, l’infezione c’è o non c’è, trepidazione in attesa del referto, inizia una macchina organizzativa senza precedenti, fatta di procedure, ma anche di tante tute bianche in cui spesso solo gli occhi riescono a trapelare. All’interno di quei gusci protettivi, uomini. Operatori, infermeri, medici: gli eroi riconosciuti dalla televisione, gridati dai balconi e dopo qualche tempo dimenticati ed a volte aggrediti nei pronto soccorso. Il resto è storia nota.

Tra loro Andrea Maccari, un eroe che ha fatto il suo lavoro, un eroe che ha pagato un alto prezzo per l’averlo fatto. Un prezzo che leggiamo passo passo nell pagine del suo libro, un prezzo che ha vissuto sulla sua pelle, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo, dopo essere entrato in coma, tra le terapie intensive, con momenti critici e pericolosi per la sua vita, i reparti di degenza e la sua lunga riabilitazione che tutt’ora sta eseguendo.

Il libro “Un’altra possibilità”, occasione di analisi a tutto tondo dopo il periodo del COVID

Sandro Libianchi

All’Ospedale Sandro Pertini di Roma, con tanti suoi colleghi sanitari, senza fare una distinzione o classificazione tra medici infermieri, le pagine del libro erano li. E galeotto è stato il libro, che in questa occasione, sembra essere stato un pretesto per raccontare a tutto tondo la realtà di un periodo storico davvero incredibile. Un momento incredibile, lungo circa due anni, raccontato in questa presentazione introdotta dal dott. Sandro Libianchi del Coordinamento Nazionale degli Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane (CONOSCI) che ha dato il patrocinio alla giornata evento.

Dopo la prresentazione dei relatori, introdotta la giornata ha preso subito la parola: “È stato un grande problema questo del COVID anche all’interno delle strutture penitenziarie nazionali. Le Regioni e le ASL sono state veramente in grande difficoltà in questo periodo ma quello che non si è visto in quanto coperto dal settore penitenziario è stato probabilmente più grave e più pesante di quello che non si vedeva nei telegiornali fuori. Andrea ha interpretato molto bene quelle che erano i sentimenti, le passioni ed anche le sofferenze di chi era ammalato in piena pandemia” e prosegue: “Questa giornata è anche un momento un po’ di riflessione su quello che speriamo non succeda mai più, però è importante anche sentire dalla viva voce dei protagonisti, come sono andate veramente le cose stando dall’altra parte“.

Le riflessioni della dott.ssa Barbara Porcelli, Direttore della UOC Assistenza alla persona della ASL Roma 2, portano la centralità

Barbara Porcelli
Barbara Porcelli

dell’intervento sulla relazione di cura con la persona assistita. “Il COVID ha messo in evidenza che da qualche parte il sistema si era un po’ dimenticato della persona e c’è stata in tanti anni anche una disattenzione sulle politiche della salute. Secondo me un elemento importante che viene fuori è che la salute è un qualche cosa che non si costruisce a parole ma ha bisogno di solide gambe, di impegno quotidiano. Le gambe del sistema sanitario e del sistema salute sono i professionisti, così come lo è il cittadino stesso“. La dottoressa prosegue “Il libro di Andrea ne è una testimonianza reale e fattiva: abbiamo riscoperto il valore della persona anche a ruoli invertiti, perché da un lato siamo stati professionisti che hanno assistito altre persone, dall’altro siamo stati pazienti da assistere. Grazie anche alla ricerca scientifica che in tempi rapidissimi ci ha messo nella condizioni di poter assistere con risultati sempre migliori, siamo diventati da coloro che difendevano dal COVID a coloro che in qualche modo lo attaccavano” ed ancora: “Se oggi noi abbiamo la possibilità di vivere una nuova normalità è pure grazie al fatto che per via del COVID abbiamo velocizzato alcuni processi ti trasformazione organizzativa del Sistema Sanitario Nazionale, cosa anche questa che negli ultimi 40 anni avevamo un po’ dimenticato“.

Una cosa condivisa da tutti i presenti, è che il nostro Sistema Sanitario è in grado di garantire, a differenza di alcuni altri paesi, assistenza a tutti i cittadini indistintamente. Nella gestione emergenziale prima e riabilitativa poi, aver avuto un sistema Sanitario pubblico come quello italiano, in un Paese che è stato un focolaio come dimostra l’esperienza lombarda, ha permesso di far propria la convinzione che l’Italia ha bisogno di un sistema sanitario di questo tipo pensando a quelle che persone che, in mancanza di un sistema sanitario di tipo pubblico, non avrebbero avuto la possibilità di curarsi o di essere assistite.

Il problema che emerge riguarda le prospettive future: la sanità italiana oggi deve recuperare terreno poter fornire le cure ed assistere una popolazione che sta invecchiando, con problematiche che sono essenzialmente legate alla fragilità, un aspetto che non è solo legato alla patologia ed alla cronicità, ma che si lega anche ai fenomeni economici e sociali.

Tutto questo avrà bisogno di enormi risorse che saranno impiegate nell’arco di anni e che copriranno, si prevede, il 70/80% di tutte le risorse del Sistema Sanitario, per una spesa prevista fino al 2028 che sfiorerà gli 80 miliardi di euro. 

Francesca Re David
Francesca Re David

Francesca Re David della Segreteria Nazionale della CGIL interviene sulla capacità di Andrea Maccari di raccontare la propria storia, una verità nuda e cruda, una verità di sensazioni pur essendo una cronostoria: “Il punto di vista di chi ha sempre lavorato nella sanità e si trova ad essere paziente in condizioni critiche in una fase così complessa e così difficile della lotta al virus. Io penso che sia importante raccontare queste storie perché è vero che il COVID ha cambiato la vita di tutti noi però si dimentica in fretta, Andrea lo dice nel suo libro. Dalle grandi crisi non si esce mai come si entra, il che non vuol dire che si esce meglio. Dipende da chi determina e come si determina l’uscita rispetto alla crisi. Ricordare cosa è successo è una cosa molto importante. Quando è inizato il COVID ero segrataria dei Metalmeccanici, una situazione molto diversa da quella sanitaria. Mi ricordo il famoso 8 marzo del 2020, la data che appare per altri motivi nel libro di Andrea, quando il presidente Conte andò in televisione per spiegare che bisognava stare tutti a casa, i posti di lavoro normali non sono stati nominati. L’idea che ci fossero delle persone che andavano a lavorare non è stata presa in considerazione. C’erano le indicazioni del distanziamento sociale, usare la mascherina, fuori dai luoghi di lavoro ma cosa doveva succedere nei luoghi di lavoro non era passato per la testa a nessuno“. Ed aggiunge, prendendo spunto dall’intervento della dottoressa Porcelli: “A proposito della centralità della persona, come metalmeccanici abbiamo subito tutti insieme detto: non andiamo a lavorare. Non si può andare a lavorare se le fabbriche non sono messe in sicurezza, se gli uffici non sono messi in sicurezza. Noi attraversiamo le città e diffondiamo il virus: in questo modo aumentiamo il contagio. Scoppiò l’ira di Dio. I lavoratori erano spaventatissimi di ammalarsi e spaventatissimi di perdere il posto di lavoro“.

Solo successivamente sono arrivati i protocolli condivisi tra stati, sindacati ed imprese. Questo ha portato ad una situazione comunque di sicurezza sanitaria all’interno dei posti di lavoro al contrario dell’utilizzo dei mezzi di trasporto che invece si sono rivelati l’anello fragile. Iniziò lo smart working e le aziende premevano per riaprire le produzioni ed è stata per la dottoressa Re David una lotta continua. La consapevolezza di quello che sarebbe dovuto succedere non c’è stata per tanto tempo. La contrapposizione tra fabbrica chiusa e fabbrica aperta e la mancanza di indicazioni sicure ha messo alla prova tutto il sistema economico. Il contagio nei luoghi di lavoro è stato tenuto sotto controllo, alla luce dei dati INAIL, chiudendo e distanziando il più possibile intervenendo in questo caso anche nell’organizzazione del lavoro. Il grande numero di contagi, quello più incisivo è arrivato naturalmente dal settore sanitario.

Una riflessione della dottoressa Re David coinvolge le aperture e le chiusure di settori lavorativi: “Nelle industrie abbiamo imposto le chiusure. Questo ha fatto sì non solo che ci si ammalasse di meno ma anche che l’Italia riprendesse più velocemente per una riduzione dei problemi. La salute è un bene collettivo. Quando i lavoratori e le lavoratrici hanno detto di non andare a lavorare, non hanno fatto una cosa egoista, ma hanno fatto una cosa solidale. Quando invece alcuni hanno deciso di aprire, è stato fatta una cosa egoista. Tutto il movimento ‘io apro’ pensava ad altro, ovvero all’interesse personale, al profitto, non all’interesse collettivo. Bisogna vedere l’insieme della società, il valore sociale“.

Andrea Maccari conclude gli interventi

Andrea Maccari
Andrea Maccari

Dopo questi interventi mi sento un po’ spiazzato” aggiunge l’autore. “Un excursus a tutto tondo che ha dato più valore a questo testo che è un qualcosa che è venuto spontaneo, un testo che nasce già nell’ultima parte del ricovero presso la Pneumologia dell’Ospedale Umberto I. La sollecitazione a scrivere è venuta dalla fisioterapista per iniziare a rimuovere la mano, insieme alla settimana enigmistica. In quel momento iniziavo anche a leggere i giornali per vedere cosa succedeva nel mondo, anche se avrei voluto non accorgermi di nulla. In effetti sono stati quattro mesi di terapia intensiva e poi in reparto, quattro mesi che sono sembrati un’eternità per alcuni aspetti. Un’eternità che mi ha portato dentro un tunnel, un tunnel nato da un cluster in una struttura territoriale. Insieme a me è venuto anche un infermiere, fortunatamente Alessandro se l’è cavata meglio di me. Noi ci siamo messi in prima linea dappertutto, è stato il primo ed unico posto dove facevamo i tamponi a Roma, un periodo in cui c’è stato anche qualche episodio di vera e propria guerriglia urbana“. Appunto, una guerra. Dopo il contagio Andrea ci dice che l’ambulanza ci mise 12 ore ad arrivare per la quantità di interventi richiesti in contemporanea e prosegue: “Questo tunnel è diventato un percorso in terapia intensiva in cui mi hanno riportato in vita più di una volta. Questo arcobaleno che piano piano è arrivato, questa voglia di vivere, mi ha portato ad una struttura riabilitativa a cui però non potevo accedere perché ero tracheostomizzato. Sono tutte cose che sto rimettendo in piedi ora per ragionarci sopra, su tutto questo percorso. L’arcobaleno è iniziato, ma la data che mi ha segnato, come diceva francesca, era l’8 marzo, la data in cui sono uscito, in cui mi hanno liberato, un anno dopo l’inizio del lockdown. Dopo è iniziato tutto un altro percorso, quello riabilitativo“.

Insomma, Andrea Maccari nel libro parla del suo percorso, di come lo ha vissuto, nella perenne emergenza sanitaria individuale, nel letto della terapia intensiva, il risveglio dal coma, le relazioni con coloro che in quel momento non erano più i suoi colleghi, perché in quel momento lui era il paziente, senza il camice, avvolto da tubi e fili elettrici dei sensori dei parametri vitali.

Andrea, sicuramente uno dei tanti, ha messo questo libro a disposizione, ha messo a nudo i suoi sentimenti e sicuramente le sue tante paure, condivise con la moglie, con la dolcezza di chi racconta dopo un qualcosa di grande superato, come può essere la sensazione di essere un sopravvissuto. Uscire da una guerra grazie a sè stesso, alla voglia di farcela, grazie ad Elisa, sua moglie, grazie a chi gli è stato vicino o quantomeno ha cercato di farlo nei limiti di quanto veniva imposto in un momento di isolamento di tutta Italia, grazie alla sua fede religiosa, e grazie alla tenacia di un uomo che pur conoscendo, per lavoro, quanto veniva fatto ha dato fiducia alla scienza, con forza interiore anche nei momenti in cui sarebbe stato più facile lasciarsi andare.

Un libro i cui proventi, sono destinati interamente alla Organizzazione di Volontariato Nonna Roma, una realtà sociale operante in tutta la città, una struttura solidale in grado di fornire aiuti alimentari a coloro che non ne hanno una possibilità. Una realtà sociale importante che Andrea  sostiene materialemnete rinunciando alle royalties del suo lavoro, della sua pelle riconquistata.