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Mascarenhas, da bronzo olimpico a voce tv del canottaggio: “Gli sport più belli? Quelli che vengono chiamati minori…”

Bruno Mascarenhas durante la presentazione del libro di Valerio Piccioni "Baci Olimpionici"

foto: Riccardo Piccioli

Portoghese, romano (da molti anni) di adozione, canottiere di bronzo in azzurro ad Atene 2004, poi tecnico, ora opinionista televisivo e motivatore per le aziende. Bruno Mascarenhas: ovvero, di tutto di più.

Arriva l’estate, giornate intense di competizioni: sei di ritorno da un viaggio per lavoro?

Sì, ieri ho fatto 5 ore di telecronaca con Rai Sport per la Coppa del Mondo, gara con in palio ancora qualche pass per le Olimpiadi. Poi sono partito per Bologna dove ho tenuto uno speech su sport e sicurezza, e adesso sono tornato. Ma riparto domani mattina all’alba e vado a Napoli per un altro intervento omologo a quello di Bologna.

Quindi ti occupi sia di raccontare lo sport giornalisticamente sia di trasmettere il valore dello sport in altre sedi. Giusto?

Sì, esattamente, anche se nelle telecronache inserisco sempre un po’ di emozione e cerco di spiegare quello che c’è dietro allo sport, proponendo ciò che vedo con gli occhi di un tecnico e di un tifoso appassionato.

Su Roma Sport Spettacolo parliamo il più possibile di tutte le discipline olimpiche, Sport con la S maiuscola. A volte in tv siamo abituati a vedere un altro concetto di sport. E a vedere poco specialità che meriterebbero più spazio.

Io ritengo che gli Sport con la S maiuscola siano quelli che vengono definiti ”minori”: sono le discipline che danno più importanza ai valori che oggi servono per far crescere i giovani con i giusti principi. Si tratta di qualcosa che poi ti riporti nella vita, perché non tutti devono andare alle Olimpiadi, non tutti devono andare a fare i Mondiali, però già il fatto di praticare uno sport in un certo modo è importantissimo per la crescita di un futuro uomo o di una futura donna.

Tu hai vissuto l’Olimpiade sulla tua pelle ed hai raggiunto una medaglia di bronzo. Adesso trasferisci la tua esperienza ai giovani anche in quanto Direttore tecnico del Circolo Canottieri Roma.
Come parlare a un ragazzo che si sta demoralizzando per una sconfitta o ad una ragazza che dopo qualche vittoria si sta “montando la testa”? Come trasmettere la mentalità giusta, da atleta olimpico?

La via migliore è quella di raccontare la propria esperienza, cerco di raccontare come mi sono sentito quando ero anch’io in quelle condizioni; lo posso fare perché ci sono passato da ragazzo, quindi alla fine per me è facile, è semplice. Basta trasmettere un po’ di passione e i ragazzi capiscono subito con chi stanno parlando. Si vince e si perde, però si impara molto di più dalle sconfitte che dalle vittorie.

I ragazzi riconoscono la passione.

La passione muove il mondo intero, senza la passione non si può fare nulla, neanche salire le scale in maniera decente. Se non ne hai, non puoi raggiungere i tuoi obiettivi. Chi è appassionato li raggiunge in maniera più veloce e migliore.

Come riuscire, nelle telecronache, a conciliare i tecnicismi da appassionato del canottaggio con il cercare invece di parlare a tutti, al pubblico generalista?

A me viene abbastanza facile, perché cerco di essere tecnico ma allo stesso tempo emotivo. Nella comunicazione, secondo me, bisogna accontentare un po’ tutti e non limitarsi alle singole modalità: cercare di essere aperto a 360° e comunicare a tutti, sia a un pubblico tecnico che a un pubblico che non capisce al 100% quello che sta vedendo.

A Parigi che speranze abbiamo nel canottaggio per gli Azzurri?

Ottime, abbiamo qualificato 8 barche olimpiche e 2 paralimpiche. Per la prima volta nella storia del canottaggio italiano si è qualificato l’8 femminile: già il fatto che sarà a Parigi è qualcosa di enorme. Per le medaglie confidiamo nel doppio, nel quattro e nel quattro senza. Credo che sarà una grande Italia.

Partecipare a un’Olimpiade oggi, rispetto a farlo nel 2004, cosa significa? Le nuove generazioni hanno sempre chiaro il valore dei Giochi, che si tengono ogni 4 anni per un motivo, perché hanno un certo prestigio. Però, cosa significa oggi rispetto a 20 anni fa partecipare ai Giochi Olimpici?

Come hai detto, il valore è immutato, è uguale. Oggi sicuramente sono cambiate le modalità di allenamento, anche i mezzi: si è più coscienti di quello che si sta facendo.
Con la tecnologia che è andata avanti, però, nel 2024 è veramente difficile fare uno sport agonistico. Vent’anni fa forse non c’erano tutte queste distrazioni. Oggi la distrazione ti porta a fare altro, o comunque a non impegnarti abbastanza.

Abbiamo tantissimi stimoli, e spesso anche chi gestisce il percorso scolastico non aiuta particolarmente i giovani nel loro impegno sportivo. Che tipo di situazioni sperimenti, in tal senso, con i giovani della Scuola di canottaggio che dirigi?

Spesso ci troviamo “contro” i genitori, e, soprattutto, i professori. Non con, ma contro: i professori solitamente vedono come tempo rubato allo studio il praticare discipline olimpiche, agonistiche, invece di comprendere che il ragazzo o la ragazza si sta allenando, si sta preparando per diventare magari uno dei futuri Azzurri che poi rappresenteranno tutti gli italiani…

Hai mai pensato a come sarebbe stata la tua carriera se non avessi vinto quella medaglia ad Atene?

Non si tratta di vincere o di perdere secondo me. Se non avessi fatto uno sport a livello agonistico non sarei soddisfatto come lo sono ora.
Certo, il mio sogno da bambino era quello di partecipare all’Olimpiade e mi ritengo fortunato perché ci sono riuscito. Di atleti olimpici se ne incontrano veramente pochi e, dato che sono riuscito a raggiungere l’apice nello sport olimpico, posso raccontare determinate situazioni. Se non avessi provato sulla mia pelle la rassegna a 5 cerchi non avrei potuto farlo.

Noi ascolteremo questi contenuti tra poco su Rai Sport ai Giochi di Parigi. Ti ringraziamo moltissimo per la disponibilità e ti salutiamo facendo l’in bocca al lupo a te e alle spedizioni olimpiche di Italia e Portogallo.

Grazie mille, vivremo grandi emozioni.

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