#Politica sportiva #La Cartolina di Valerio Piccioni

Una riforma che non convince

foto: Riccardo Piccioli

Questa storia della commissione governativo/parlamentare che sostituirà la Covisoc calcistica, ora per tre quarti anche dimissionaria, e la Comtec cestistica finora nei rispettivi alvei federali, proprio non ci convince. Dico di più: rischia di essere molto poco “terza” rispetto allo stato dell’arte attuale.
 
Provo a riepilogare: di fronte ad assetti proprietari opachi, spese folli, acrobazie di  bilancio varie ed eventuali, insomma a un sistema calcio da anni indebitato e sempre in attesa di quel Godot dell’autoriforma che non arriva mai, il ministro dello sport Andrea Abodi, insieme con quello dell’economia, Giancarlo Giorgetti, il via libera del Cdm e della scorsa settimana, spostano i controlli “oggettivi” in capo a una Commissione definita “indipendente”. Slalomeggiando fra i paletti del rispetto delle norme internazionali sull’autonomia di Fifa, Uefa e Cio: il nuovo organismo infatti studierà, approfondirà, denuncerà incongruenze, ma l’ultima parola del tipo tu sì ti puoi iscrivere, tu no non puoi farlo, ai club pericolanti, la diranno i consigli federali. Che però con molta fatica potranno smentire i pareri tecnici. Un’autonomia come minimo dimezzata. 
 
C’è un’altra domanda che pressa: secondo voi saranno più “terzi” i commissari sportivi o quelli figli dei nuovi meccanismi di nomina che comunque sentiranno addosso il fiato della politica? Immaginate se si votasse in un grande comune la cui squadra di calcio ha i conti in bilico ed è a rischio esclusione. Siete sicuri che non partirebbero telefonate del sindaco o di qualche lobby di parlamentari tifosi (e ce ne sono!) per assediare i tecnici, magari strappare un rinvio o una tregua per impedire qualsiasi effetto elettorale della vicenda o magari per produrlo (“ho salvato io la squadra, convincendo la Commissione…”). Insomma, siamo sicuri che le telefonate (che per la verità ci sono state anche in questi anni) si ridurrebbero anziché moltiplicarsi?
 
Vi diciamo la verità. Non ci iscriviamo al partito del vittimismo di quei club calcistici che piangono miseria lamentando l’assenza di aiuti da parte dello Stato (scusate, ma le spalmature fiscali o i soldi risparmiati fino a ieri grazie al Decreto Crescita che cosa sono?). In questo qualche frecciatina di Abodi e del tutto comprensibile. Anche l’idea di scambiare pezzi di autonomia per qualche risorsa economica non è proprio entusiasmante. E proprio a essere sinceri, diversi padroni del vapore calcistici hanno liquidato tutti gli inviti che lo stesso Giorgetti, allora alla guida del Ministero dello Sviluppo Economico, aveva formulato per chiedere un vero piano industriale in cui le richieste di aiuto fossero supportate da impegni e scelte all’insegna della sostenibilità. 
 
Ma la risposta a questa cecità non può essere un generico “ci pensiamo noi”. Storicamente, lo Stato è intervenuto nella giustizia sportiva nella fase della “legittimità”. Del metodo, più che del merito. Tutto perfetto, tutto a posto, non c’è nulla da cambiare, allora? Al contrario.  Per esempio, ci sono ancora negli statuti sportivi dei conflitti di interesse? Assolutamente sì, se sostanzialmente è l’organo politico federale a scegliere i giudici sportivi. Certi codici e certe procedure della giustizia sportiva ti danno l’idea di una mega discrezionalità, con sanzioni per lo stesso reato che variano dal buffetto di una sanzione alla condanna alla morte sportiva di una retrocessione o addirittura di un’esclusione dei campionati? Assolutamente sì, lo abbiamo visto anche di recente. Sono temi su cui sarebbe giusto un confronto e un approfondimento. Ma di fronte a certe decisioni della giustizia sportiva, la politica è stata solidale o ci ha messo il cosiddetto carico da 12 indebolendo pesantemente il sistema?
 
P.S. C’è poi una storia che si fa proprio fatica a mandare giù. La Commissione costerà tre milioni e mezzo l’anno. Un po’ pagheranno i club, un po’ la Federazione, un po’ lo Stato. Non è una questione di poltrone, si affrettano a giurare gli autori del decreto. Sarà. Ma vi immaginate che cosa ci si può fare con tre milioni e mezzo? Che possono farci non una, ma cento piccole società sportive? Che spesso bussano alla porta dell’istituzione, sportiva e non, per chiedere una mano, e si sentono dire: purtroppo il budget, purtroppo i conti non prevedono, purtroppo bisogna seguire un’altra procedura, purtroppo vorremmo ma non si può, purtroppo una, due o dieci volte? Insomma, pensateci. A volte il rimedio è pure peggio del male.