foto esterna: Ufficio Stampa

Seguo con crescente simpatia – e solidarietà – il viaggio di Daniele De Rossi verso il futuro. Non è un percorso facile, come non lo è stato nel passato, soprattutto nella vita privata, e tuttavia la sua è l’immagine del calciatore appassionato, forte, lucido, leale.

Un combattente. Per questo m’aspettavo di più, per lui: dalla sua squadra, dalla sua città. Dal destino. Tant’è che oggi ne scrivo perché la notizia più bella è che ha lasciato l’Ospedale Spallanzani dopo avere domato il Covid: positivo il 31 marzo, ricoverato il 9 aprile, “liberato” il 13.

Musales Laika Daniele De Rossi
Musales Laika Daniele De Rossi

Perché parlo del soldato che non si è mai arreso e al quale un tifoso – la street artist Laika – ha dedicato un mural all’Arco della Fontanella che lo raffigura come un legionario che si batte contro il coronavirus: “Volevo fare gli auguri al mio Capitano, certa che, proprio come faceva in campo, stia affrontando questa brutta esperienza come il guerriero che è”.

Soldato, combattente, guerriero: credete, non è quel linguaggio militare che ha sempre infastidito gli intellettuali progressisti, nè esiste ombra di divisa – se non quella giallorossa – che possa preoccupare Michela Murgia.

È semplicemente Daniele De Rossi che è stato ripudiato dalla sua Roma il 26 maggio 2019, all’Olimpico, dopo la partita con il Parma contro il quale, diciott’anni prima, aveva colto i tre punti per vincere lo scudetto. È successo dopo che una Roma matrigna aveva respinto anche Francesco Totti, fratello di latte.

Seicentosedici partite e sessantatré gol dopo. Vive con cuore forte ma senza prospettive l’ esperienza argentina al Boca e finalmente un amico, un collega – Roberto Mancini – lo chiama accanto a sé nel Club Italia. Possibile – mi chiedo – che un ragazzo cosí – anzi un uomo cosí – non potesse servire alla Roma?

Non è un Caso Totti, colpito anche dal divismo; vedevo e vedo Daniele come un lavoratore-maestro-ispiratore. Quello che è stato Bruno Conti per decenni. A presto, Capitano.