Il punto di Italo Cucci
Vorrei tanto che la Nazionale di Mancini servisse al campionato nel momento in cui tutti lo dicono brutto e cattivo come se fosse un bulletto e invece è un vegliardo ultrasecolare. Se ha un difetto vero, quest’Italia con una striscia di 24 vittorie, è che non è cattiva. Per la bruttezza, visto che lo dicono gli esteti o “giochisti”, sono talmente d’accordo che m’auguro di arrivare almeno a 40 vittorie. Perché la Bruttezza Azzurra è virtù italica spesso mostrata nelle marce di avvicinamento agli Europei e ai Mondiali.
Nel 1968 vidi la Nazionale di Valcareggi a molti sgradita per la sua essenziale praticità, e vinse l’Europeo. Nel 1982 la Nazionale di Bearzot fu infangata come se già ci fossero i social e i bischeri della tastiera: vinse il Mundial giocando alla grande perché aveva accumulato fior di campioni. Nel 2006 successe anche di peggio: i Sommi Critici invitarono Lippi e i suoi ragazzi a restare a casa per evitare l’ingaggio tedesca; e l’Italia trionfò nel Weltmeisterschaft. Ricordo invece benissimo quel che successe a metà degli anni Sessanta, quando Edmondo Fabbri guadagnò la qualifica a Inghilterra ‘66 mostrando il miglior gioco di sempre facendo felici i qualunquisti e rinunciando agli interisti signori d’Europa con il contropiede herreriano: e fu Corea.
Fatto il predicozzo, raccomando a Fonseca di non abbattersi se dicono Rometta la sua Roma che vince con le squadre più abbordabili, ne sia orgoglioso, invece; provi piuttosto – e lo dico anche a Mancini, già che ci sono – a far sentire ai suoi ragazzi il dovere dell’impegno, della concretezza e dell’orgoglio come fecero Bearzot e Lippi. E gl’insegni a rispettare la vittoria, l’unico vero obiettivo della partita.
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