6. Il pubblico della Podistica Lazio al Campo Sportivo della Rondinella nei primissimi anni venti. La maggior parte della gente è vestita bene, ci sono militari e anche tipi popolani con la coppola degli operai. Si scorgono donne e perfino un infante.

Sabbato ar colosseo di Marco Impiglia

Note storiche, sociologiche, filosofiche e ”psichiatriche” sui sostenitori della AS Roma e della SS Lazio. L’analisi originale di Marco Impiglia.

 

1. IL PRIMO TIFO (1900-1927)

 

Manca un mese alla “stracittadina” – come si diceva mezzo secolo fa – e già si è capito che, questa volta, giallorossi e biancocelesti si giocheranno il posto in Champions. Faranno finta, Mou e Sarri, che l’importanza del confronto sta nei tre punti, e tutto il resto è noia, come cantava Franco Califano? Non credo. I due sono troppo esperti e abili nel trattare con i media per imbrogliarsi con amenità del genere. Indispettendo, oltretutto, il trilussiano “popolo cojone”, che nell’Urbe è rappresentato dalla selva di radio, tv e siti web che discutono continuamente di pallone targato Serie A. Si interessassero, dette stazioni di informazione e intrattenimento e i loro Tinèa, con la medesima verve di calcio semiprofessionistico e dilettantistico, dell’Almas e l’Urbetevere, della Romulea, le Spes Artiglio e Montesacro o l’Ostia Mare, ne sarei felice. Ma così non è. Non tirano come la Roma e la Lazio, ergo fatturerebbero meno pubblicità. Questi sono i crudi fatti. “Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo”. A Roma si smadonna per l’amatriciana ramata della Sora Lella, ci si abbuffa di bucatini alla carbonara, tonnarelli cacio e pepe, rigatoni alla pajata, gricia, trippa al sugo, baccalà e carciofi fritti alla giudìa, abbacchio al forno e supplì al telefono. Tutti piatti pesanti che sanno di tifo per la Roma o per la Lazio. “È vvero, è vvero!” . Ve lo dico da Romanista del quasi centenario Gruppo dei Romanisti, di cui fecero parte Petrolini, Trilussa e tanti altri. Custodi della storia e dei costumi di Roma. E se andate al Museo in Trastevere ci sono appese foto che lo testimoniano.

Ci avete fatto caso che metto prima la Roma e poi la Lazio, usque tandem? Eppure, sono per il 51% laziale e per il 49% romanista. E le “aquile” sono apparse prima dei “lupi”: 1900 a 1927: ventisette punti di scarto. Che neanche Tommaso Maestrelli al mago Helenio Herrera nel lontano 1973. Gli è che la ASR ha molti più tifosi in città. Dal momento stesso in cui è stata fondata, ha subito conquistato le chiavi di Pietro. Per via del nome e degli smalti: il porpora e l’oro SPQR della Roma monarchica etrusca, repubblicana, imperiale e papalina. Mi fermo al 1870, all’epoca dei bulli, perché a quella data l’immaginario e il retaggio dell’uomo quirite erano belli e completati. Emblema, bestie di riferimento, eroi, marmi, cibi, pregiudizi, carattere, lagnanze, linguaggio, tutto. Così, quando la Podistica Lazio emise il suo primo vagito il 9 gennaio del 1900 sul Lungotevere dei Mellini, non in un cesto abbandonato alle acque ma dentro una barchetta a capanna, con l’obiettivo sbandierato di darsi al podismo e al nuoto a fiume, ogni cosa era apparecchiata. C’era questa nuova pietanza “sport”, finalmente a disposizione del popolo dopo che se n’erano abbuffati gli snob e gli aristocratici. Bastava servirsene con l’abbondanza che si desiderava. Oppure andarsene alle osterie di borgo San Lorenzo a magnà vicino ai morti.

L’ho presa alla larga, ok, ma sono pur sempre uno specializzato in storiografia e cojonature. D’altronde, anche Fernando Acitelli, Poeta del Velodromo Appio in vena anarchica, mi diceva qualche giorno fa che la Tradizione è la prima sora, e che la scelta, quella che fa la differenza, è legata alla famiglia (al padre) e ai colori, più precisamente: “alla lontananza intesa come fondazione delle rispettive squadre, sulla quale il tifoso costruisce la sua personale etica.”  Riflettete: voi ce l’avete un’etica romanista? E un’etica laziale?

Il primo statuto della Podistica Lazio, redatto pochi giorni dopo la nascita. Ma si tratta di una fotocopia, l’originale non si trova. C’è chi afferma che il fondo turchino allude agli smalti della Società, individuati già al momento della sua costituzione.

Quando vi chiedono da che parte state, la risposta è da catalogo tassonomico: se hai la proboscide e pesi dieci tonnellate, sei un elefante; se hai il collo lungo e la pelle a macchie, sei una giraffa; se copuli troppo a rischio d’infarto, sei un quoll australiano. Qualcuno ha pure detto, scritto e recitato che ci sono facce da laziali e facce da romanisti: la fisiognomica del tifo. Ma se passeggi per il Corso e non sei Mattarella, Sgarbi o Chiara Ferragni in traslucido dipinta, o magari un pollo turista, non puoi sfuggire al fatto che il tuo ethos, l’insieme dei tuoi valori e il posto dove ti collochi, agli occhi del popolo è presto identificato dai colori per i quali tieni. In ultima analisi – filosofica, certo – la polarità tra il quid est, l’essenza della realtà, e il quod est, l’unica realtà accettabile. Sei Qui o Quo?, questo è il problema… (io sono Qua).

Due fotografie scattate a piazza d’Armi prima

C’era solo la Lazio quando nacque il “tifo sportivo”? “È controverso, dipende da come si accosta l’argomento” – mi dice, poggiando l’indice destro sulla punta del mento come per tenerselo fermo, un amico professore di liceo in pensione. E continua: “Il tifo, inteso come parteggiamento per una fazione in uno spettacolo agonistico, c’era già ai tempi degli antichi romani, vedi le corse delle bighe o le lotte dei gladiatori negli anfiteatri. Il tifo c’era nel Rinascimento per i giochi del folclore di quartiere. C’era nell’Ottocento per i divi della scherma, i lottatori di greco-romana, i campioni del tamburello e del pallone col bracciale, i primi ciclisti che correvano col totalizzatore nelle piste di legno a Porta Pinciana. Immagino che il tifo ci fosse anche ai tempi degli uomini delle caverne, pure se non sappiamo come si esplicava…”.

… e dopo la vittoria sulla SS Virtus del 15 maggio 1904. Gli articoli di giornale sono della fine degli anni ’50 e inizio ‘60. La data è anticipata al 1902, come poi riporterà Mario Pennacchia. Collezione Famiglia Ancherani.

Già, dico io, ma il tifo per il giuoco del calcio? I veri nostri antenati a quando risalgono? Secondo i miei calcoli, la prima chiara manifestazione riguardante il football risale al 15 maggio del 1904. Questa data l’ho scoperta una ventina di anni fa, perché prima se ne diceva un’altra, il 1902, seguendo perinde ac cadaver il libro di Mario Pennacchia sulla SS Lazio uscito nel 1969. La partita è Lazio-Virtus e il tifo nasce con la Lazio, questo sì, ma non fu la “Podistica” del bersagliere di sangue marchigiano Luigi Bigiarelli a portare il primo pallone in città, come i laziali si sono sempre vantati. La Ginnastica Roma e altre polisportive giocavano al calcio da qualche tempo, e prima di loro i chierici inglesi, scozzesi e irlandesi; quelli che, da cinque secoli ormai, studiano come entrare in Paradiso stando a Roma.

La più antica immagine di una sfida tra la Lazio e la Virtus, giocata a Piazza d’Armi il 19 febbraio del 1905. Notate i pochi spettatori allineati in piedi sullo sfondo, se ne contano appena una sessantina. Collezione Emilia Corelli.

Questo “match” del 1904 venne disputato alla vecchia Piazza d’Armi, che si estendeva da viale delle Milizie in direzione del Tevere. Durò quattro tempi da venti minuti l’uno, con un maestro di ginnastica, un certo professor Quagliotti, a funzionare da arbitro unico. Non dico il var, ma non esistevano neppure i guardialinee. Le porte di legno erano state fatte a mano da un socio laziale. Almeno cento persone assistettero aggratise, lungo i bordi del campo odoroso di misticanza, alla sfida fratricida tra i biancocelesti a scacchi e i bianconeri virtussini, nati l’anno avanti da una costola della SPL. Vinsero tre a zero i laziali, e il loro capitano e goleador, il piccolo Sante Ancherani, partecipò al trionfo come si usava a quei tempi di baffi all’insù steccati da pomate francesi: a cavacecio e sventolamento di berretti. Urrah! Urrah!

Un Lazio-Juventus del 1910 a Piazza di Siena, pro terremotati. Il re Vittorio Emanuele III è presente, giacché la giornata prevede manifestazioni di natura benefica, ed è precisamente questa la ragione del discreto pubblico. Il disegnatore rappresentò una partita di football rugby. Evidentemente, non era andato all’evento e il responsabile della redazione gli aveva comunicato soltanto la foggia delle maglie.

Fu pure, quella, la prima volta che i “fubballer” della Lazio usarono una maglia celeste e bianca, fatta in casa da mani femminili la notte prima della partita per rispondere alla notizia che i rivali ce l’avevano bianconera. Così che dalla casualità, da una scelta di donne, rampollò la prima bandiera. Infatti, pochi mesi dopo in un’osteria lungo il fiume ai Prati di Castello, il presidente Fortunato Ballerini inaugurò il vessillo della Società e lo suggerì a strisce verticali bianche e azzurre, come quello della monarchica Grecia che aveva riavviato la tradizione dei Giochi Olimpici antichi. In quei giorni, sua eccellenza Ballerini era fermamente intenzionato, su incarico del barone Pierre de Coubertin, a portare la quarta Olimpiade moderna a Roma!
Oggi alla Polisportiva affermano, messa la cosa nello statuto sociale, che la Lazio ha una sua nobile origine a cinque cerchi; e che sorse con questa sublime idea già nel 1900. Come avrete capito, trattasi di una mezza verità. Ma l’Italia non è il Paese delle mezze verità, come cantava Gianna Nannini? E allora accettiamola. Ego benedico vos e nun me menate, amici laziali, per carità di Dio.

Le partecipanti al campionato laziale FIGC 1920-21 ritratte sui loro campetti. Nella Pro Roma c’è Silvio Sensi, padre del presidente dello scudetto 2001.

Non sono uscito dal seminato, no: questi sono snodi cruciali della cosiddetta “Fondazione”, attorno ai quali ancora oggi litigano laziali e romanisti: Noi semo nati prima, semo olimpici, semo! (Remo) – Sì, ma nun ci avete azzeccato er nome, e nemmanco li colori! (Romolo).
Ma c’erano i romanisti giallorossi nel 1904? Sì, in qualche modo c’erano. E però molto diversi da quelli odierni. Il Roman Football Club, sorto nel 1901, era composto da un fritto misto di aristocratici romani e uomini d’affari britannici residenti. I principali avi della AS Roma giostravano a Piazza di Siena o al Galoppatoio, mettendo in mostra una costosa maglia jersey acquistata a Londra: rosso scuro con i bordi dorati e filettati. Vi ricorda qualcosa? All’inizio, essi rifiutarono di battersi con la SP Lazio e le altre squadre che ritenevano “popolane”. E questo solo per il motivo che, assieme ai signorini studenti figli di papà, accettavano nerboruti “fruttaroli”. Quei primi romanisti stavano molto sulle loro. Il ceto li distingueva. Chi assisteva alle sgambate invernali e primaverili dei “rossogialli”, durante le quali si udivano grida in inglese, erano le pallide fidanzate impellicciate, affacciate ai finestrini delle carrozze o addirittura in sosta su un bel cavallo dal quale sovrastare la bassa transennatura.

Il pubblico della Podistica Lazio al Campo Sportivo della Rondinella nei primissimi anni venti. La maggior parte della gente è vestita bene, ci sono militari e anche tipi popolani con la coppola degli operai. Si scorgono donne e perfino un infante.

I paini e le élites capitoline ancora vedevano l’anglico football come uno sport perfettamente conveniente alle classi superiori. Quando le cose cambiarono, al di presso della Grande Guerra, ormai il Football Club di Roma aveva più italiani che stranieri nelle sue file. Ma i “derbies” li vincevano i “biancazzurri” della Lazio. In quelle occasioni, al “Daini” a Villa Borghese o al “Due Pini” lungo la via Flaminia – e sto parlando del primo vero campo da calcio ben recintato con tanto di tribuna –, qualche pugno o parole ruvide potevano volare tra i giocatori, mai tra i sostenitori. C’era pure il “terzo tempo”. La Lazio e il Roman, opposte le due belle società agli snob del Naples o dell’US Internazionale Napoli, se ne andavano in domenicale o pasquale trasferta per la conquista del campionato centrosud FIF. Avete presente il rugby del Six Nations? Lo spirito era quello.

Finale scudetto Alba-Juventus allo Stadio Nazionale nell’agosto del 1926. I verdi albini erano già la squadra che portava più spettatori, unitamente alla Lazio. I tifosi dell’Alba si caratterizzavano per essere più focosi di quelli biancocelesti.

Ma allora, se le cose al principio stavano davvero così, quando è nato il “tifo” a Roma? Ve lo dico subito: nel dopoguerra. La stessa parola tifo cominciò a circolare sui giornali sportivi, acchiappata di peso dai prontuari di medicina, coniata in Campania. Il paragone era chiaro: gli appassionati di calcio che smaniano come ossessi per un “gol” lo fanno con un ciclo di sette giorni, così come cicliche sono le febbri tifoidi tanto frequenti al sud. Negli anni 1919 e seguenti, le squadre Alba, Lazio, Fortitudo, Pro Roma, Juventus, Audace eccetera, formarono vere e proprie tribù “tifose” corrispondenti ai quartieri dei loro terreni di gioco.

“Tifosette” al Cinodromo della Rondinella al volgere degli anni venti. Questa celebre immagine ha contribuito alla creazione del cliché dei laziali appartenenti alle élites cittadine.

Ora la Lazio giostrava alla Rondinella, accanto al Due Pini e allo Stadio Nazionale costruito nel 1911. Siccome era una società col quartier generale a via Veneto e dal carattere ampiamente sociale oltre che polisportivo, frequentate le sedi di terra e di acqua, lo chalet al lungotevere Flaminio, da quattromila aderenti che si interessavano ad attività culturali (escursionismo archeologico, ballo, teatro, musica concertistica, beneficenza agli orfani di guerra), la Podistica era diventata una sorta di visconte dimezzato alla Calvino: i soci paganti quasi tutti non andavano a sostenere le “aquile” al Campo della Rondinella, che invece era frequentato da non soci che se ne fregavano altamente della cultura e dell’assistenza ai poveri.

Il Football Club di Roma al Circolo Tennis Parioli nell’aprile del 1927, poche settimane prima del suo assorbimento nella Associazione Sportiva Roma, cui diede i colori, le finanze e financo la sede.

Ed è proprio da qui che origina il mito della “Lazio dei quartieri alti”: dall’ubicazione pariolina della Rondinella e dalla drammatica spaccatura “football contro tutto il resto” che stava per far defungere il sodalizio. Che in pratica fu salvato dal miliziano fascista Giorgio Vaccaro, che ne prese a cuore le sorti nel biennio 1926-27 allorché ci fu l’attacco al “brand” di un altro gerarca rampante suo rivale di nome Italo Foschi. Il fondatore della AS Roma. Questa mia tesi vi potrà sorprendere, ma vi assicuro che è certificabile. Documentabile. Basta cercare nelle biblioteche e negli archivi statali o leggere il giornale sociale della Lazio di quei giorni – che scoprii depositato alla biblioteca universitaria tanti anni fa, ma poi l’hanno rubato – per capirlo facilmente.

Il giornale satirico Il Tifone descrive, nella tarda primavera del 1927, i tifosi del calcio nella Capitale. La AS Roma sta per nascere…

I primi trambusti degli anni venti, ossia le colluttazioni tra tifosi e gli inseguimenti di arbitri che scappavano in carrozza dopo un match per sfuggire alle ire di sostenitori albini, audaciani o fortitudiani, videro partecipare in misura minore i laziali, ma comunque anche loro furono coinvolti. I giocatori migliori, infatti, li si pagava e li si buggerava al nemico col sottobanco. Stava iniziando il semi-professionismo, il calcio-business che veniva ad azzerare tutti i principi e le modalità (pochi allenamenti e tanto divertimento) dei pionieri “amateur”. Ai livelli più alti, nel settentrione d’Italia, c’era già il professionismo puro delle mazzette da mille, dei campioni che arrivavano dall’Argentina e dall’Uruguay.

Figurine che si trovavano nelle cioccolate. C’è la prima formazione giallorossa, con alcuni giocatori che vestono ancora le casacche delle società di origine. Come vedete, la AS Roma fu subito accomunata alla figura della Lupa

La Associazione Sportiva Roma nacque nella primavera del 1927 per inserirsi, con i colori giusti e il nome giusto, nella competizione per la conquista dello “scudetto” nazionale. I suoi nuovi tifosi, in realtà quelli vecchi dell’Alba e della Fortitudo che, lungo le stagioni post-belliche, avevano conteso alla Lazio la leadership regionale, si dimostrarono subito di una specie modernissima. Tipi assai evoluti, come andremo ad appurare nella prossima puntata.

… la Lazio, invece, alla fanciulla contadina. Collezione Alessandro Borri.