Un momento molto triste: i laziali rendono omaggio a Vincenzo Paparelli.

Sabbato ar colosseo di Marco ImpigliaMarco Impiglia esamina il tema delle chiese romane ed il rapporto con le tifoserie

Qualche giorno fa mi è capitato, uscendo di casa per fare compere, di imbattermi in un funerale assai particolare: l’estremo

saluto a un super-tifoso giallorosso. La chiesa era quella antistante piazza Fabrizio De André, nel cuore della Magliana Nuova. Ricordo che, negli anni ’90 ai tempi in cui svolgevo servizi e reportage per conto del Corriere dello Sport, il capocronista Francesco Campanella, noto romanista, mi propose di svolgere una indagine sulle tifoserie delle due massime squadre cittadine di calcio e, per quel che riguardava la Lazio, mi diede l’indirizzo della “cassamortara”. Chi sarebbe sta cassamortara? – chiesi io che alla Magliana non ci avevo neppure messo piede per sbaglio. “Sarebbe la titolare di un’agenzia di pompe funebri che è anche la più sfegatata tifosa biancazzurra”, rispose lui con un sorriso sottilmente malizioso.

Presi la Cinquecento blu e mi presentai, armato di penna biro e taccuino d’ordinanza, davanti all’esuberante super-tifosa. La signora fu gentilissima, appena udì la parola magica di “giornalista” aprì le porte della sua casa dei sogni. Ma anche lei non resistette alla tentazione diabolica di divenire maliziosa: “Attento, che se sei della Roma entrare qui dentro non ti porterà fortuna!” La mia metà lupetta ricorse ai debiti scongiuri toccando ferro (il portachiavi della Cinquecento). L’intervista filò via liscia e venne regolarmente pubblicata.

Mi pare che l’agenzia ancora esista, ma della cassamortara ho perduto le tracce, ora che abito alla Magliana. All’epoca, stavo a via dei Capocci, nel rione Monti, a fianco del palazzo dove aveva vissuto l’infanzia il grande Fulvio Bernardini.

Una istantanea della chiesa di San Gregorio Magno il mattino delle esequie.

Questo cortocircuito mentale mi è appunto balenato nel cervello mentre osservavo, abbastanza allibito, il drappeggio di striscioni sportivi col quale gli ultrà avevano infiocchettato il frontale della chiesa.

Qualche tempo fa, in occasione di una visita di papa Francesco, era stato meno sfarzoso l’addobbo con i colori bianco e giallo dello Stato della Città del Vaticano.

La chiesa dedicata a San Gregorio Magno, il papa al quale si deve il nome di Castel Sant’Angelo da un’apparizione dell’arcangelo guerriero che mise fine a un’epidemia (ma perché Michele sta in ferie?, di una sua puntatina ne abbiamo bisogno come il pane, oggi…), immagino sia stata costruita negli anni ’70, perché è un cubo di cemento armato con lucernari scarsissimi, laddove invece la luce divina dovrebbe entrare con più agio in posti simili.

In effetti, dal punto di vista di Vittorio Sgarbi per dire, gli striscioni degli ultrà quasi la miglioravano.

Non so chi sia il prete che officia attualmente, però ricordo che, a un dato momento, era arrivato un aitante giovanotto di colore, probabilmente africano, che aveva riscosso un

I funerali dei tifosi che piacciono a noi: scherzosi, per la Juve.

marcato successo tra le pie donne che abitualmente aiutano nei servizi religiosi. Ma certo non è stato il “prete bello” a permettere l’imbandieramento, in stile Palio di Siena e Giostra del Saracino, della facciata della casa di Dio Padre. Bensì il parroco che gestisce ultimamente le faccende. Un errore, a mio parere. Un peccato veniale, ma comunque un peccato che catalogherei da seconda bolgia. Questo perché una chiesa non può diventare la succursale di uno stadio: un suo spin-off, per dirla in termini fichi. Inoltre, l’atmosfera che si avvertiva non era precisamente quella di una comunità devota a Gesù e alla Madonna, pronta alle preghiere in coro, al kyrie eleison, come dovrebbe essere: erano tutti uomini belli piazzati con barbe nere e grinte notevoli, e le facce non delle più caritatevoli (soprattutto verso i laziali), se mi capite.

Un momento molto triste: i laziali rendono omaggio a Vincenzo Paparelli.

Non so se ci siano stati altri esempi di questo genere in giro per la Capitale, magari su iniziativa della controparte, per cui le chiese del centro mondiale del cattolicesimo stanno iniziando a tramutarsi in succursali della Curva Sud e della Curva Nord. Certo, potremmo essere in presenza del decollo di un rapido upgrade: dopo i tanti, troppi “in memoria di” improvvisati ai lati delle strade per gli incidenti di moto e di auto, e le pietre tombali artisticamente acchittate (mi capitò di vederne e udirne una che, se pigiavi un certo bottone, partiva l’Inno della Roma), ora arrivano di gran carriera le chiese a tema tifoso.

Ma poi, siamo sicuri che lo spirito del defunto in questione gradisca fino in fondo la parata di bandiere? È sempre un’idea sua e dei suoi familiari, o tutto parte dai colleghi di curva, immersi nell’ideologia della “vera fede” al punto da operare tautologie urbane di dubbio gusto?

Ricordo che il sensibilissimo Vincenzo Cerami mi disse, una domenica che stavo con lui a commentare una partita di campionato della Roma negli studi di una radio privata, che persino Pier Paolo Pasolini, quando fu assassinato nel 1975, ebbe la ventura di “vedere” una maglietta con i sacri colori della Maggica accompagnarlo nell’ultimo viaggio. Gli amici della periferia, i vari Citti, Davoli eccetera, così avevano voluto, nonostante sapessero delle fede bolognesissima per i veltri rosso-blu, al cento per cento proprio, dell’autore di “Ragazzi di vita”.  Buon calciatore amateur lui stesso, tra l’altro.

 

Due funerali ai quali le tifoserie parteciparono in massa: quelli del giocatore Taccola nel 1969 e gli altri dell’allenatore Maestrelli nel 1976.
Funerali Taccola
Funerali Maestrelli
   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E siccome la morte è banalmente democratica ma anche splenetica e, dunque, romantica, vorrei chiudere con un verso di Baudelaire, che ci sta bene: O Morte, vecchio Capitano. È ormai tempo, salpiamo.