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I Mondiali di calcio per aneddoti – Parte prima

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. “La mano di Dio”, il gol più incredibile della storia dei Mondiali.

Sabbato ar colosseo di Marco Impiglia

Otto storie tra mito e realtà. Il “Maracanazo”, Pelè, Maradona, Yashin… Marco Impiglia racconta.

 

Mondiali-libro-Impiglia
Il libretto che uscì per i Mondiali del 2014 in Brasile.

Nel 2014 per i Mondiali in Brasile, l’ultima volta che gli Azzurri riuscirono a qualificarsi alla fase finale, pubblicai per un’editrice fiorentina un volumetto di aneddoti. Mi aveva aiutato a redigerlo Gianfranco De Laurentiis, il giornalista della Rai scomparso due anni or sono. Credo che alla vigilia dei prossimi Mondiali eseguirò l’aggiornamento, sempre che l’Italia partecipi. Già in questi pochi giorni, abbiamo visto come gli accadimenti di sapore aneddotico infiorino le kermesse iridate calcistiche. Ad esempio, le storie della fascia “one love” e degli iraniani che si rifiutano di cantare l’inno per protesta contro gli ayatollah mangiafemmine, oppure gli extra-time chilometrici che abbiamo registrato nella prima fase a gironi, si prestano all’affabulazione.

Un aneddoto, per definizione, è il riporto di un particolare curioso che ha un fine moralistico o di divertimento, e non si sostanzia di una sua verità storiografica; non completamente, almeno. Può essere inventato o aggiustato, se serve a mettere in luce i caratteri di un personaggio o di una vicenda. Nei quattro sabati di Qatar 2022, vi racconterò aneddoti estratti dal mio libro che si ferma al 2010, più qualche scampolo dalle edizioni 2014 e 2018. Nella quarta parte, che uscirà a poche ore dalla finalissima, tratterò solamente storie riguardanti le finali disputate fino ad oggi.
E come si dice in arabo (romanizzato): “Anandà”!

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L’uruguagio Obdulio Varela, il capitano che sconfisse i duecentomila del Maracanà.

Parto con un aneddoto che vi fa capire come la penso su quello strano gioco di inganno, estro e coraggio che si chiama football: Obdulio Varela, il capitano dell’Uruguay, a precisa domanda usava rispondere: “L’arbitro io lo rispetto, ma la mano, quella no: la mano mai”. E infatti, non diede la destra neanche a George Reader, il fischietto inglese di Brasile-Uruguay 1950, il famigerato “Maracanazo”. Scolpita nel marmo la frase che Varela disse ai suoi al momento di entrare in campo, col boato della torcida dei 200.000 che aveva sbiancato la faccia a tutti: “Non temete, quelli là fuori non esistono!” 

Italia-Corea del Nord-Mondiali
Il gol di Pak Doo Ik ai Mondiali inglesi.

Questa viene da Inghilterra 1966, forse la primissima partita che seguii alla tv, a cinque anni un pomeriggio di luglio al mare a Ladispoli. Sto parlando della figuraccia dell’Italia di “topolino” Fabbri con la Corea del Nord. Gli Azzurri persero uno a zero per il gol di un dentista, tale Pak Doo Ik. Le “zanzare rosse” passarono il turno ma furono schiacciate dal Portogallo di Eusebio.

Pak doo Ik-tedoforo-Cina
L’ex calciatore accolto come tedoforo alle Olimpiadi cinesi.

Al ritorno in patria, ricevettero onori di stato e sfilarono per le strade. Il presidente Kim Il Sung nominò Pak Doo Ik “eroe del popolo”. Shim Joo Il, un ex ufficiale militare fuggito dal suo paese, così ricordò quei giorni: “C’era nell’aria un sentimento di orgoglio per tutta la nazione. Ma per giustificare la loro mancata vittoria, si diffuse la voce fra la gente che i giocatori in Europa avevano bevuto alcool ed erano andati a donne. E che qualcuno di loro era stato mandato a lavorare nelle miniere per punizione”. Cosa sarebbe successo oggi, con Kim Jong Un? 

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Il russo Yashin votato miglior portiere di sempre in un sondaggio del magazine France Football.

Sanno qualcosa del calcio in Vietnam? La domanda è lecita se pensiamo a un fatto che accompagnò i Mondiali del 1994 negli USA. Il giornale “Sport in Russia” cedette a un settimanale vietnamita un servizio in cui Lev Yashin, l’ex “ragno nero” dell’URSS campione d’Europa, dava i suoi pronostici. Nell’intervista, Yashin analizzava i 24 portieri titolari ai Mondiali. Senonché, il leggendario portiere sovietico era morto nel marzo del 1990! 

Dalle ignoranze asiatiche a quelle africane: può un giocatore arrivare a partecipare alla FIFA World Cup senza sapere quasi nulla delle regole del gioco? Pare di sì. Almeno in base a quanto accadde in Brasile-Zaire il 22 giugno 1974 a Gelsenkirchen, anche questa una partita che vidi in diretta alla tele. Si stava alla metà del secondo tempo, quando il romeno Rainea assegnò una punizione dal limite ai brasiliani. Si piazzò per batterla Rivelino, ma non fece in tempo: appena si udì il fischio, dalla barriera si staccò un giocatore e andò lui a colpire il pallone con un calcione deciso. Lo scatto dell’africano era stato fulmineo, e per un attimo rimasero tutti di sale: pure io davanti alla piccola tivvù in bianco e nero. Poi, Rainea si avvicinò al colpevole e gli spiegò la regola del “free kick”. Lo zairese fece segno d’aver capito, riprese il suo posto in barriera. Rivelino batté e sbagliò. Il Brasile vinse 3-0.

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Alla vigilia dei Mondiali 2010, mezzo mondo riportò sul web la notizia della Coppa truccata nel 1934, meno le testate italiane, naturalmente…

A proposito di “mosse incongrue”, e di arbitri non proprio onestissimi, qualcosa di strano accadde ai Mondiali del 1934. Fu nella semifinale Italia-Austria, giocata allo stadio San Siro in un pomeriggio di tipo invernale. Il centrocampista austriaco Josef Bican, in varie interviste da anziano, sottolineò il ruolo svolto dall’arbitro svedese Ivan Eklind nella vittoria per uno a zero dei nostri ragazzi sul Wunderteam. In campo, Eklind aveva agito in modo favorevole ai padroni di casa, fino ad arrivare all’eccesso d’intercettare di testa un suo passaggio all’ala destra Zischek! In effetti, tale movimento venne notato dai cronisti viennesi, ma essi scrissero d’una palla che stava finendo in fallo laterale.

Bican andò oltre con le sue tardive accuse: “Prima del match, Mussolini s’incontrò segretamente con Eklind e, come ci disse il nostro coach Hugo Meisl, i due si misero d’accordo per favorire gli italiani”. Secondo Bican, tutti sapevano che solo la Squadra di Vittorio Pozzo poteva vincere la coppa: Eklind aveva cenato col duce e quindi obbedito alle sue direttive. Ma su questo potete stare tranquilli: Benito Mussolini non andò a cena e non alzò il calice con l’arbitro, si limitò a ordinare che Eklind, e alcuni altri “referee” e “linesman”, venissero addolciti con regali e lussi. Cosa che scrissi in un saggio presentato a Zurigo nella sede della FIFA quando ancora c’era Joseph Blatter, nell’aprile del 2013. Forse per ringraziarmi, la volpe zurighese, che certo non amava gli italiani, mi diede un fac-simile della “coppa Rimet” da tenere nelle mani per la foto di gruppo.

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Ronaldo col suo “dentone”.

Ronaldo il Fenomeno è in assoluto il mio calciatore straniero preferito. Lo è perché ha una faccia simpatica, non da presuntuoso come quella dell’attuale Cristiano. In Corea del Sud, nel 2002, il campione più atteso fu lui, il Ronaldo brasileiro. Pochi sanno che il Fenomeno aveva il soprannome di “Monica” quando, ragazzino, giocava a piedi nudi nelle strade di Bento Ribeiro, periferia estrema di Rio de Janeiro.

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La “Monica” dei cartoni per bambini.

 “Monica” era la bambina protagonista d’un cartone degli anni ’70, provvista di due grossi dentoni. Allorché Ronaldo inseguiva la “bola”, i compagni l’apostrofavano: “Monica, passe a bola”. Spesso tornava piangendo a casa, dove era solo il piccolo “Dadado”. In quel torneo di vent’anni fa, la Turchia finì sorteggiata nel girone col Brasile. Il giorno avanti la sfida, Emre Belozoglu fece autografare ai suoi compagni una maglia della nazionale con sopra la scritta in italiano: “Per Ronaldo”. Il destinatario la ricevette in albergo e gradì molto. Quindi segnò il primo dei due gol della vittoria.

Da Ronaldo a Maradona, il passo è breve. A Messico ’86, il 22 giugno all’Azteca al cinquantunesimo minuto del quarto di finale Argentina-Inghilterra, il Diego toccò il cielo con un dito. E non solo: toccò anche una certa palla con un pugno. Il fatto andò così. Le due squadre stavano sullo zero a zero. Su un tentativo di scambio Maradona-Valdano, Stephen Hodge intercettò di sinistro la palla e la alzò a campanile verso la propria area. Il portiere, Peter Shilton, uscì per impossessarsene, ma lo stesso fece Maradona. I due arrivarono in contemporanea sul pallone “Adidas Azteca”, lo stesso che recentemente è stato venduto per due milioni di dollari, eppure fu l’argentino, molto più basso, a toccare apparentemente di testa nella rete incustodita. Gli inglesi protestarono immediatamente, sospettando che qualcosa non fosse andato nel verso giusto.

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“La mano di Dio”, il gol più incredibile della storia dei Mondiali.

In realtà, il pugno di Maradona aveva sfiorato la palla quel tanto che era stato sufficiente per anticipare Shilton. L’arbitro, il tunisino Alì Ben Nasser, consultò il segnalinee, il bulgaro Dotchev, che gli disse di non aver notato nulla di irregolare, motivo per cui indicò con sicurezza il centrocampo. Interrogato nel dopo-partita, il capitano dell’Albiceleste scherzò che era stata “la mano de Dios” a fare il gol. Maradona poi rivelò d’aver esortato i propri compagni, rimasti fermi, a festeggiare assieme a lui con la frase: “Venite ad abbracciarmi o l’arbitro non convaliderà!”

Quattro minuti dopo il gol di mano, Maradona partì dalla sua metà campo e corse per sessanta metri sotto pressione, il pallone incollato ai piedi come avesse l’elastico, scartando giocatori in serie e depositando in rete sull’uscita di Shilton. Un’azione che mozzò il respiro. Alla Tv messicana, lo speaker Fernando Schwartz, nel vedere il gol incredibile, gridò estasiato: “Maradona es la locura!” Dei due gol, disse una volta il Diego: “Certe volte sento che il primo gol, quello di mano, mi piace ancora di più. Ormai posso dire ciò che in quel momento non potevo, e che all’epoca definii la mano di Dio… Ma quale mano de Dios! Fu la mano del Diego! E fu come fregare il portafoglio agli inglesi”.

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Messico 1970: Pelé consolato da Mazurkiewicz…

Nel 2002 la FIFA lanciò un sondaggio per decidere quale fosse il gol più bello segnato ai Mondiali. Vinse il secondo gol di Maradona all’Inghilterra, che guadagnò 18.062 voti. Quasi il doppio dei voti ottenuti dal suo rivale per la corona di calciatore del secolo, Pelé, del quale fu segnalato il “gol sombrero” di Svezia 1958.

E visto che ho citato Pelé, voglio chiudere questa prima carrellata con lui, che in fondo è stato il “re del football” della mia generazione anni ’60. Inoltre, lo vidi dal vero una volta all’Olimpico, che era in tournée col Santos in Europa e venne a giocare una partita a Roma. Mio nonno Peppino, romanista nato ad Altamura, mi portò allo stadio con la sua utilitaria Fiat, e non potete capire che intasamento di traffico si verificò quella notte! Pelé tirò un rigore che Ginulfi gli parò a trenta metri da me, che stavo in piedi nel parterre. Ricordo che, in un “Manuale del Gol” per ragazzini, c’era una vignetta con raffigurato l’asso moretto che dava un calcio a un cucchiaino e lo faceva terminare in una tazzina di caffè: girava la voce che fosse capace di questo!

Pelè-Vittoria-Messico 70
… e il suo trionfo nella finalissima.

La giocata più pazzesca di Pelé si manifestò, come un miracolo di Nostra Signora di Guadalupe, ai Mondiali di Messico ’70, anche se non si tramutò in una rete. Accadde durante la semifinale con l’Uruguay. Smarcato da un passaggio in profondità verso la porta avversaria, il magico numero 10 tagliò in diagonale da destra a sinistra quando s’avvide che il portiere Mazurkiewicz era pure sulla traiettoria, e col tempo uguale al suo. Per evitare lo scontro, finse d’entrare sul pallone e lo lasciò sfilare (!?!). La mossa disorientò il portiere, che non seppe più dove stava la palla e dove Pelé. “O Rey” allora lo aggirò, tornò sulla destra e impattò d’interno il cuoio di sinistro, che non era il suo piede preferito, indirizzandolo in diagonale verso il palo lontano. Ma il tiro sfiorò il legno e si perse sul fondo. Pelé si mise le mani sul viso, Mazurkiewicz andò a consolarlo.

Pochi giorni dopo, si sarebbe rifatto segnando di testa il primo gol a Ricky Albertosi, nella finale vinta 4-1 contro l’Italia di Ferruccio Valcareggi. Nella baraonda scatenata dal fischio del tedesco orientale Glöckner, Pelé venne attorniato dalla folla e issato in trionfo. Spogliato d’ogni indumento a parte le mutandine, rimase diversi minuti in quella posizione su un trono non virtuale ma reale, composto di carne umana e di miriadi di braccia che si stendevano per toccarlo. Sul campo si vide una marea folle che si muoveva tutta insieme, formando vortici, tumultuose correnti, alla disperata caccia di “reliquie” dei tri-campioni del mondo.

Il 24 giugno 1970, il proprietario d’un ristorante di San Paolo sciolse il voto fatto alla Vergine Maria se “avesse dato una mano” a Pelé. Hercilio Ferreira Soares portò sulle spalle una croce da Rio de Janeiro al santuario di Aparecida do Norte, a duecento chilometri di distanza. Costruì la croce egli stesso, con trentacinque chilogrammi di legno, e s’incamminò lungo l’autostrada Rio-San Paolo. Tra l’altro, non era neppure cattolico praticante. (8)

Ecco, mi sono accorto adesso di avere parlato estesamente di una finale, al contrario di quanto mi riproponevo. Ma così va il mondo e così va la vita: si inizia col pensare una cosa e si finisce col farne un’altra. Il Fato (il pallone rotondo) decide per noi.