La sora Angelica e zi’ Checco “sfrattati” da Campo Testaccio, durante la guerra.

La sora Angelica e zi’ Checco “sfrattati” da Campo Testaccio, durante la guerra.

Sabbato ar colosseo di Marco ImpigliaMarco Impiglia ci porta alle origini dell’AS Roma ed il Campo Testaccio. La storia di Zi’ Checco, il guardiano del Campo Testaccio

La volta prossima vi svelerò la vera data di nascita della AS Roma. Che non è quella che vi hanno detto, che sta dappertutto e anche sul sito ufficiale della Associazione, ma un’altra: perché siamo nati nel mese caro alla Madonna. Allora, per prepararvi per benino, ho pensato di dirvi qualcosa su Campo Testaccio. Lo sapete, Testaccio fu il luogo dove si creò lo spirito romanista.

Soprattutto perché una squadra, formata quasi tutta da romani, rasentò l’impresa di buggerare alla Juve il primo della serie di cinque scudetti consecutivi 1931-1935 (all’epoca, le zebre si contentavano di cinque, oggi piangono perché non arrivano a dieci). Su Campo Testaccio, 25 anni fa, scrissi un libro che lesse in anteprima Donna Flora, la moglie del grande presidente Dino Viola.

Campo Testaccio, edito nel 1996 da Riccardo Viola
Campo Testaccio, edito nel 1996 da Riccardo Viola

Disse che le era sembrato di tornare magicamente su quegli spalti, perché certi personaggi e l’atmosfera erano indimenticabili. Due di questi monumenti del Testaccio, tipi che non giocavano, non allenavano, non preparavano tattiche e non dirigevano nulla, a parte qualche nugolo di galline con i loro pulcinotti, erano i “guardiani” dell’impianto sportivo: la sora Angelica e il mitico ‘zi Checco. Riflettori su ‘zi Checco.

Al secolo, ‘zi Checco era nato Francesco Martucci, classe 1861, giusto l’anno che si costituiva il Regno d’Italia. Ma lui aveva vissuto l’infanzia al tempo del papa-re, e sulla vita filosofeggiava come poteva filosofeggiare uno che aveva giocato a zeppetti con le guardie pontificie che lo guardavano benevole, e poi erano arrivati i carabinieri con i loro baffoni, l’aria serissima e il cappello bicorno.

Di sicuro era un artigiano. Aveva i modi, la pazienza, la dignità e la filosofia dell’artigiano. Buon riparatore di scarpe. Come sapevano bene i “lupi” giallorossi, che gli affidavano gli scarpini da calcio e lui li rimetteva a nuovo partita dopo partita, perdendoci ore proprio.

Zì Checco aveva accanto una santa donna, Angelica, che gli aveva dato due bei figlioli, maschio e femmina: Mario e Fernanda. La sora Angelica era magra e bruna con gli occhi a mandorla sul tipo delle sabine, i capelli scuri e lisci tirati in crocchia, ed era un moto perpetuo: badava ai polli, lavava le maglie dei giocatori e le appendeva sul filo ad asciugarsi, giusto in un angolo del terreno di gioco.

Magnifica tra i fornelli, e ancora meglio con gli spuntini e le merende: Fernando Eusebio mi disse che ti metteva davanti, alla fine degli allenamenti in preparazione del campionato, dei “gabaré” di pizza coi fichi e l’uva passita da svenire. E poi c’era il vino dei Castelli, ovvio: la specialità dello zio.

Come entrò zi’ Checco nel mondo del pallone? Grazie a un dirigente di una delle squadre che formarono la ASR alla sua nascita: la AS Alba. Colori biancoverdi, campo al Casilino e poi all’Appio: un motovelodromo mezzo scombiccherato che aveva bisogno di un custode.

Un zi’ Checco “giovane” nella stagione 1926-27, quand’era custode al Motovelodromo Appio, campo di casa della AS Alba. La caricatura apparve sul giornale satirico Il Tifone.
Un zi’ Checco “giovane” nella stagione 1926-27, quand’era custode al Motovelodromo Appio, campo di casa della AS Alba. La caricatura apparve sul giornale satirico Il Tifone.

 

Dove stava il mitico campo sportivo in una piantina del 1939
Dove stava il mitico campo sportivo in una piantina del 1939

In effetti, i lupi cominciarono a mordere all’Appio, che oggi sta nel mezzo del quadrante sud ma ieri no, era parecchio fuori città e per arrivarci bisognava camminare o prendere una specie di corriera.

Nel momento in cui la AS Roma si trasferì nel suo nuovo campo di proprietà al Testaccio, cioè alla fine del Ventinove, pure la sora Angelica e zi’ Checco si trasferirono lì, dove il fondatore, l’abruzzese Italo Foschi, li aveva accomodati in una casetta piccina picciò, tipo quella della canzoncina, eretta in un canto con lo stemma bello dipinto sopra.

 

 

La sora Angelica a un brindisi. E c’è anche Italo Foschi, il fondatore della AS Roma
La sora Angelica a un brindisi. E c’è anche Italo Foschi, il fondatore della AS Roma

Si può affermare, senza scherzare, che, per i coniugi Martucci, quello divenne il blasone di famiglia. E i giocatori erano come degli altri figli, soprattutto per la sora Angelica.

Che li coccolava e li vezzeggiava, gli rammendava i calzettoni e gli strappi alle casacche vermiglie; e il grande Attilio Ferraris, detto “er rubbacuori”, un atleta simile a un Adone, le rispondeva con carezze sui capelli e tanti sorrisi gentili.

E poi, alla domenica pomeriggio, Attilio dava il fritto, dirigeva i suoi come un vero capitano in battaglia, e nel carburante accumulato durante la settimana c’era anche la pizza suddetta.

Com’era la routine di zi’ Checco? La vita di ogni giorno? Molto calma. Ma laboriosa. La mattina, di buon’ora, andava ad aprire il cancello su via Marmorata; e solo da quell’istante chiunque (o quasi) poteva entrare nel suo Regno, stante regolare lasciapassare.

Campo Testaccio in un quaderno d’epoca. Collezione privata
Campo Testaccio in un quaderno d’epoca. Collezione privata

Spesso stava seduto su una seggiola a riparare gli scarpini: tic-tic, toc-toc: pareva non vedesse nulla, il capo chino sull’attrezzo, e invece si accorgeva di ogni cosa. Anche dei monelli della vicina scuola elementare che, da una porticina interna, facevano cucù sul prato verde per spiare i campioni in movimento: “Anvedi, quello è Bibbitone! E quell’altro è Fuffo”!

“Maschietti” tifosi a una partita al Testaccio
“Maschietti” tifosi a una partita al Testaccio

I cronisti sapevano bene con chi avevano a che fare. Il guardiano del Testaccio era cortese ma parlava pochissimo. Centellinava le parole, distaccandole l’una dall’altra come formiche davanti all’entrata del formicaio: tutte nere e lisce e, ai suoi occhi, tutte uguali.

Una volta, prima di un derby del 1931 – era primavera avanzata e la Roma si giocava contro i malnati biancazzurri le residue speranze di scudetto –, un cronista del “Littoriale”, il quotidiano sportivo cittadino, l’andò a scovare per fare il “pezzo di colore”. Un vaticinio del Guardiano del Faro, in sostanza, gli occorreva.

Lo trovò con la pipa fumante tra le dita gonfie e macchiate di nicotina. Uscendo dal magazzino, la sua seconda casa, stava ridendo e scherzando con “Sciabbolone” (nome preso sotto la doccia) e con “l’Avvocato” (un argentino che, effettivamente, s’era baccalaureato laggiù nelle Pampas) che si allenavano, ma con una certa parsimonia, come al solito.

Panoramica sul campo, si vedono la balconata dei popolari e la botola da dove uscivano i giocatori. La botola dava accesso agli spogliatoi, che esistono ancora oggi
Panoramica sul campo, si vedono la balconata dei popolari e la botola da dove uscivano i giocatori. La botola dava accesso agli spogliatoi, che esistono ancora oggi

 

La mole rotonda di zi’ Checco negli anni ’30
La mole rotonda di zi’ Checco negli anni ’30

Il tipo scrisse sul giornale che, per descrivere il custode del Testaccio, bastava portarsi un compasso, fare centro sulla sua pancia e girare lentamente tutto attorno: e avevi la topografia esatta dell’Uomo. Forse perché presago di quello scherzetto da pennivendolo fastidioso, Checco gli disse poco o niente. E comunque, la Roma avrebbe vinto, logico. C’era da chiederglielo?

In realtà, i tifosi giunsero, col passare delle stagioni calcistiche, a identificare zi’ Checco con la Roma stessa; tanto che, quando le cose si mettevano male, mandavano gli “alimortacci” pure a lui.

Soprattutto tremendi erano quelli della Balconata (il Testaccio era di legno, molte parti dipinte di giallo e di rosso, tremava come una femminella ai gol dei giallorossi), sospesi come brutti diavolacci sporchi di schizzi di sangue a trenta metri dal Camposanto degli Inglesi. Quei tifosi, anticipatori degli “ultrà” moderni, lanciavano sul terreno di gioco, a parabola proprio, le gazzosine di vetro con la pallina, se gli girava veramente male.

Forse lo zio li sentiva e forse no. Certamente non ne veniva turbato: lui se ne stava giù negli spogliatoi, nel labirinto di stanzoni sotto la botola, a preparare ogni cosa col massaggiatore Angelino Cerretti in attesa dell’intervallo. A mettere in fila sul termosifone le maglie calde per i suoi ragazzi.

La sora Angelica con i giocatori Scopelli e Costatnino. Siamo nel 1935
La sora Angelica con i giocatori Scopelli e Costantino. Siamo nel 1935

 

 

Zi’ Checco nella sua posa tipica, che pare quasi sia in pensiero per le sorti della AS Roma
Zi’ Checco nella sua posa tipica, che pare quasi sia in pensiero per le sorti della AS Roma

La cosa bella di zi’ Checco era che tutti lo conoscevano. E di rimando lui conosceva tutti. Perché lo salutavano sempre. E lo salutavano perché era il guardiano di Campo Testaccio: una personalità.

Lui rispondeva con un cenno breve della mano, come fosse il re Sciaboletta.

Muoveva le dita o il mento assai lievemente: la regalità pura: la Maestà di Roma Antica.

Nel novembre del 1943, un giorno, col Testaccio che era già solo un ricordo e sopra gli spogliatoi ci stavano dei giardinetti, e nelle vie di Roma pattugliavano i nazisti cattivi, e le prime bombe erano state sganciate dalle Fortezze Volanti americane, un altro reporter. questa volta per caso, l’incontrò di nuovo.

Ora i coniugi Martucci abitavano in una casetta fuori città, ai limiti di un bosco, con un orticello sul davanti bene ordinato. Lo zio aveva 83 anni e se ne stava seduto presso un braciere di ferro e lamiera, probabilmente fatto a mano da lui stesso.

Si accioccolava le vecchie ossa al sole tenue e al rosso radiante dei tizzoni.

 

La sora Angelica e zi’ Checco “sfrattati” da Campo Testaccio, durante la guerra.
La sora Angelica e zi’ Checco “sfrattati” da Campo Testaccio, durante la guerra.

Quello, il giornalista vagabondo, gli chiese: “Zio, avete visto che tempo fa la Roma ha guadagnato lo scudetto?”. Lo zio, visibilmente stanco, l’ombra di quel che era stato ai tempi belli, assentò con uno sguardo che voleva dire: “Ma sono cose che si possono non sapere, queste?”. E si curvò per ravvivare il fuoco che stava estinguendosi. Una bella ragazza bruna apparve giusto in quell’istante dall’orto e lo salutò chiamandolo “nonno”.

Da zio a nonno. Francesco Martucci morì all’età di 91 anni, nel dicembre del 1952. Si spense in un’altra casa dov’era andato ad abitare con la figlia Maria dopo la guerra, a via Enrico Cialdini 14, vicino alla Stazione.

Se credete, metteteci un fiore, scrivete qualcosa sul muro. Con un gessetto bianco, se potete, tracciate una frase gentile per il Guardiano di Campo Testaccio.