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LE CINQUE “W” DELLO SCUDETTO

L’attuale emblema istituzionale del CONI

L’attuale emblema istituzionale del CONI, cioè lo “scudetto Malagò”

Nel “know how” del giornalismo americano esiste una vecchia formula chiamata “le 5 W”. Essa è riconducibile, più o meno, ai tempi del magnate dell’editoria William Randolph Hearst (quello del film “Quarto Potere”) e fa così: Who is about? What happened?  When did it take place? Where did it take place? Why did it happen? In parole nostre, riguardo a un qualsiasi fatto: Chi, Come, Quando, Dove e Perché?

Ora, prendiamo in esame l’argomento dello Scudetto. Non il semplice scudetto del campionato di calcio ma, in generale, lo scudetto dello sport italiano. Sapreste buttar giù un “pezzo” rispondendo, con cognizione di causa, alle cinque W? Credo di no, giacché esclusivamente il sottoscritto può farlo. E solo oggi che ho concluso una ricerca durata tre decadi.

Certamente avrete capito che la modestia non rientra nel mio bagaglio umano. Ma preferite i finti modesti, forse? Quelli che esibiscono “understatement” e poi ve lo piazzano proprio lì, a bersaglio, con la dolcezza di un Casanova? Spero di no.

Ma andiamo al dunque: lo Scudetto. Tempo fa, ricordo di aver visto un documentario in cui Giordano Bruno Guerri, il direttore del museo dannunziano denominato “Il Vittoriale degli Italiani”, ironizzava sulla passione patologica dei “tifosi” (per l’appunto) del calcio per gli scudetti: “chi lo vince, chi l’ha perso, quanti ne ho io, quanti ne hai tu, eccetera”. Ok, sotto un certo punto di vista molto “alto” e un po’ snob, lo si può capire.

Epperò, in fondo, alla luce della foto “Pale Blue Dot” scattata dalla sonda Voyager Uno a quattro miliardi di miglia dalla Terra, possiamo razionalmente affermare che c’è qualcosa di rilevante in quello che facciamo e pensiamo, o consideriamo, un singolo oggetto degno dei nostri processi mentali e trasporti emotivi secondo il giudizio di Alien? Il Var vale la Formula della Relatività di Einstein, per dire.  Ergo, lo Scudetto vale Einstein: vale l’acquisto di un prodotto in una certa linea di supermercati. 

Lo Scudetto che, cliccando sul web, scoprite essere stato “inventato” da Gabriele d’Annunzio mentre stava a Fiume nel 1920; intento a cercare di rendere italiana quella cittadina che oggi italiana non è più, bensì croata. Una cosetta che trovai, per caso, nel 1994, tramutata da Italo Cucci in uno “scoop” sul Corriere dello Sport-Stadio.

Vent’anni dopo, la FIGC accettò la cosa con uno smilzo comunicato stampa.

Ma adesso, in base a una fotografia nuova di zecca, uscita fuori dopo un secolo di oscurità dal cassetto della famiglia di uno dei “legionari” dannunziani, so che lo scudetto attuale non è precisamente lo stesso del Vate. Infatti, lo scudetto che il Diavolo ha buggerato al Biscione è a foggia “gotica”, mentre quello inaugurato a Fiume era a foggia “svizzera”, come il modello di stemma che orna le maglie della nostra AS Roma. 

Lo “scudetto d’Annunzio” sulla maglia azzurra
Lo “scudetto d’Annunzio” sulla maglia azzurra del capitano della squadra militare dei legionari che l’8 febbraio 1920 incontrò a Campo Cantrida una rappresentativa fiumana.

Ohibò! Conta qualcosa? Beh, sì, in merito alla regola delle “five dabliu”. Lo scudetto repubblicano non l’inventò il pescarese d’Annunzio ma il Grande Torino nel 1945.

 

Lo “scudetto binario” su una casacca della Nazionale
Lo “scudetto binario” su una casacca della Nazionale in epoca fascista

Non ci abbiamo perso nulla: dall’Immaginifico a Valentino Mazzola, siamo al cospetto di due giganti della storia nazional-popolare. Sempre con rispetto al Guerri.

Durante l’era fascista, lo scudetto era diverso.

Per breve tempo, dal 1924, quello dannunziano, ma ritoccato col blasone dei Savoia impresso sulla pala bianca centrale del tricolore; tanto per chiarire che di un emblema monarchico si trattava. 

Poi, a partire dall’estate del 1931 e per mano dello Juventus Football Club, era avvenuta la sostituzione alla chetichella con lo “scudetto binario”: lo scudo sabaudo biancorosso affiancato a mancina da un notevolissimo fascio littorio dorato.

 

 

 

 

 

 

 

Lo straordinario volantino firmato da alcuni giocatori del Torino
Lo straordinario volantino firmato da alcuni giocatori del Torino per sostenere la repubblica nel referendum del 2 giugno 1946.

Nell’estate del 1943, la squadra del Torino, fresca campione d’Italia, s’era ritratta al Filadelfia con questo stemma composito sulle maglie, e vicino lo

Una cartolina di Valentino Mazzola

scudettino tricolore a foggia svizzera che testimoniava la conquista anche della Coppa Italia. Due anni dopo, caduto “Lui” dal balcone e indi appeso al traliccio di una pompa di benzina lassù a Milano, il Torino si trovò di fronte al dilemma di cosa mettere di bello sulle divise: lo scudo sabaudo, forse?

Senza chiedere pareri a nessuno, il capitano Mazzola “il rosso”, in comunione con i suoi compagni di brigata nominalmente impiegati come operai alla FIAT, scelsero un emblema repubblicano, sprezzanti del dettaglio che vigesse ancora la monarchia.

Presero l’iniziativa in occasione di un match amichevole disputato allo Stadio Olimpico di Losanna il 17 settembre 1945, in preparazione al campionato e senza attendere il referendum: quello che sarebbe andato in scena solo in finale della stagione agonistica, il 2 giugno del 1946. Così che i torinisti giocarono per mesi con lo scudetto repubblicano cucito grossolanamente sul cuore, per una sorta di tour di propaganda svolta nei campi di football del nord e del centro.

Addirittura, firmarono un volantino del Partito Comunista che invitata a votare per la Repubblica, mettendoci letteralmente la faccia! 

Sapete come finì la vicenda: i ragazzi “comunisti” del Toro sconfissero la rivale Juventus e la danarosa Inter, confermandosi campioni. I filo-repubblicani nordisti, a loro volta, vinsero di corto muso sui filo-monarchici sudisti. Motivo per cui, oggi al Quirinale abbiamo Sergio Mattarella e non il rampollo ultimo della dinastia sabauda, quello che ha partecipato a show televisivi di largo consumo se non sbaglio.

Giulio Onesti e lo “scudetto CONI”
Giulio Onesti e lo “scudetto CONI”, varato per le Olimpiadi invernali ed estive del 1948.

Al principio dell’estate del 1946, la FIGC accolse ufficialmente lo “scudetto Grande Torino”, che planò sulle maglie azzurre. A

L’attuale emblema istituzionale del CONI
L’attuale emblema istituzionale del CONI, cioè lo “scudetto Malagò”

ruota, Giulio Onesti fece suo il nuovo emblema, aggiungendoci la scritta “Italia” in campo azzurro e i cinque cerchi olimpici a sormontare. Ecco lo “scudetto CONI”, che Giovanni Malagò nove anni fa ha riproposto con una grafica di design rispondente alle necessità del “rebranding”.  [7]  

Ma la storia dello Scudetto non è tutta qui, perché Il 4 maggio del 1949 il Torino degli “Invincibili” scomparve al completo nella sciagura aerea di Superga; un evento che gettò nella costernazione la Nazione intera. Lo stesso “Giulietto” (un altro, il cognome che inizia per A, romanista puro, origini ciociare, sapete chi…), nella sua ultima intervista prima di morire, confessò che, chiamato nella sua qualità di Sottosegretario di Stato a proferire qualche parola significativa davanti al mezzo milione di persone assemblate sotto la pioggia per i funerali, si trovò in difficoltà perché l’emozione lo travolse. 

La tragedia del Grande Torino/Nazionale innescò un processo di santificazione che, parallelamente, rese lo Scudetto inventato dal Grande Torino un’ostia sacra e intoccabile; patrimonio morale dei cittadini italiani senza distinzione di sesso, ceto, credo politico, calcistico o religioso.

Da allora, tutti gli emblemi sportivi sono cambiati, sotto l’impulso del marketing. Commercializzati, “vettorializzati”, scomposti e ricomposti, stravolti secondo logiche di sponsor sovente incomprensibili a noi normali, ma non lo “Scudetto Grande Torino”. Il modello gotico che contiene i segreti della sezione aurea e che i milanisti stanno per mettere meritatamente sulle loro storiche maglie rossonere. E che sarà esattamente lo stesso del Torino 1949. 

Libro di Marco Impiglia
La copertina del libro dedicato alla storia del simbolo d’italianità più famoso al mondo.

WWWWW. Altre domande?

 

DIDASCALIE

 

  1. Lo “scudetto d’Annunzio” sulla maglia azzurra del capitano della squadra militare dei legionari che l’8 febbraio 1920 incontrò a Campo Cantrida una rappresentativa fiumana.
  2. Il “distintivo tricolore” che dalla stagione 1924-25 campeggiò per sette anni sulle maglie delle squadre campioni d’Italia. Qui è la Juve 1926-27.
  3. Lo “scudetto binario” su una casacca della Nazionale in epoca fascista.
  4. Lo straordinario volantino firmato da alcuni giocatori del Torino per sostenere la repubblica nel referendum del 2 giugno 1946.
  5. Una cartolina di Valentino Mazzola con lo “scudetto Grande Torino”.
  6. Giulio Onesti e lo “scudetto CONI”, varato per le Olimpiadi invernali ed estive del 1948.
  7. L’attuale emblema istituzionale del CONI, cioè lo “scudetto Malagò”.

La copertina del libro dedicato alla storia del simbolo d’italianità più famoso al mondo. Lo si può avere scrivendomi all’indirizzo: marco.impiglia@gmail.com