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“Ti spiego il medichese”: dalle parole al dialogo, quando capire diventa parte della cura

C’è una differenza sostanziale tra informare e comunicare, e spesso è proprio in questa sottile linea che si gioca il rapporto tra medico e paziente. L’informazione ha una natura monodirezionale: il medico espone, illustra, prescrive, mentre il paziente resta in ascolto, passivo ricettore di un messaggio che può risultare oscuro o incompleto. La comunicazione, invece, implica un ritorno, un feedback: il paziente che annuisce perché ha capito, o che chiede chiarimenti perché desidera comprendere meglio. È in questa dinamica bidirezionale che si costruisce la fiducia e si trasforma l’atto dell’alleanza alleanza terapeutica, quella che la dottoressa Caponigro chiama come impegno implicito nei confronti dei pazienti. Ti spiego il medichese si colloca esattamente in questo spazio: vuole tradurre l’informazione in comunicazione, restituendo al paziente il diritto di capire e al medico l’opportunità di evitare che una paura legittima diventi panico.

Nella calda cornice di un incontro con il giornalista Davide Fiorano, al centro di Roma, che ha il sapore di una vera e propria riflessione collettiva sulla salute, la presentazione del libro Ti spiego il medichese ha assunto i tratti di un dialogo necessario, che va ben oltre i confini della letteratura specialistica. L’autrice, con un linguaggio semplice e diretto, affronta un nodo cruciale del nostro tempo: la distanza comunicativa tra medico e paziente, un divario che non è solo linguistico ma anche culturale ed emotivo. Il costrutto del libro è un costrutto medico, pagine da consultare al bisogno, argomenti da ricercare, senza la necessità di seguire una trama, senza che il concetto precedente sia legato al successivo con una consecutio narrarrativa. Il libro è un manuale, diciamolo, non è un glossario, ma piuttosto diventa traduttore al bisogno

Il volume nasce dall’esperienza quotidiana in ambulatorio, dove la complessità del linguaggio clinico troppo spesso si trasforma in una barriera capace di generare ansia, fraintendimenti e, non di rado, abbandono delle cure. Lo studio medico è anche il posto dove si cerca di tradurre referti specialistici dei propri pazienti in un linguaggio semplice, diretto, una attività che talvolta occupa oltre il 60% del tempo lavorativo giornaliero: il medichese infatti è un linguaggio in codice, un insieme di messaggi destinati ad altri medici, difficili da interpretare se non si è dentro alla materia scientifica. Ma proprio per questo la comunicazione medica ha il dovere e diritto di coinvolgere un paziente nella propria salute, e lo deve fare in modo responsabile: “Ho visto pazienti spaventati da referti che parlavano di ‘lesioni polmonari’, convinti di avere un tumore, quando invece si trattava di processi infiammatori curabili”, racconta l’autrice. “E questo perché le parole, se non spiegate, diventano muri insormontabili”, delle vere e proprie barriere mentre è ormai assodato che il comprendere una terapia serve a seguirla meglio con la consapevolezza del beneficio farmacologico.

Il libro non è soltanto un glossario per tradurre termini come dispnea o ipoecogena in espressioni comprensibili a chi non ha competenze mediche. È una vera e propria guida pratica, pensata per essere consultata al bisogno, con schede operative che aiutano il paziente a presentarsi alla visita meglio preparato, riducendo la dipendenza dal classico “pizzino” di appunti confusi o da associazioni mnemoniche derivanti dal colore delle confezioni di medicinali.

Nelle schede, spazio anche per la salute mentale, tema ancora troppo stigmatizzato, e persino pagine compilabili dove annotare le parole incomprese, da discutere con il proprio medico.

Ma Ti spiego il medichese è rivolto anche agli stessi medici, giovani o specialisti che siano. “All’università ci riempiono di nozioni, ma nessuno ci insegna a comunicare”, osserva l’autrice. Un’affermazione che ha trovato eco nelle parole della dottoressa Arianna Moretti, specialista in Medicina Interna, che ha sottolineato come la comprensione da parte del paziente sia fondamentale non solo per la qualità della cura, ma anche per alleggerire il carico di lavoro del professionista.

Al centro della discussione si staglia il concetto di “diritto di capire”: viene ribadito che il paziente deve poter comprendere le informazioni che riguardano la sua salute, perché soltanto un’alleanza terapeutica basata sulla consapevolezza garantisce l’aderenza alle cure. E questo concetto ha finalità sociali. Non a caso il Ministero della Salute ha inserito l’alfabetizzazione sanitaria tra le proprie priorità, riconoscendo che un cittadino informato utilizza con maggiore responsabilità le risorse del sistema sanitario.

Un altro aspetto di grande attualità riguarda la disinformazione online. In un’epoca dominata dal “Dottor Google” e dai social media, il rischio di imbattersi in notizie distorte o prive di fondamento scientifico è altissimo. Per questo il libro contiene un elenco di fonti attendibili, strumenti preziosi per orientarsi tra le informazioni, distinguendo ciò che è medicina basata sull’evidenza da ciò che non lo è. “Non si tratta di demonizzare la rete, ma di educare a un uso consapevole”, sottolinea l’autrice.

La presentazione ha visto anche l’intervento di associazioni di pazienti, organizzazioni di volontariato, che hanno riconosciuto nel volume un supporto concreto per chi deve affrontare malattie croniche e terapie complesse. Il libro è stato definito un gesto di cura, un compagno di viaggio da regalare a chi vive situazioni di fragilità.

Infine, c’è un elemento che rende questo lavoro un progetto aperto: Ti spiego il medichese è pensato come un “work in progress”. L’autrice ha già immaginato una futura versione 2.0, arricchita dal feedback dei lettori, e presto sarà disponibile anche in formato Kindle, per raggiungere un pubblico internazionale.

Più che un libro, dunque, un manifesto culturale che invita a ripensare il rapporto medico-paziente, ricordando che ogni parola, se usata con consapevolezza, può diventare essa stessa parte della cura e contribuisce anche a ridurre gli accessi impropri ai pronto soccorso. È su questo terreno che si gioca una delle sfide più importanti per la medicina contemporanea: trasformare le parole in strumenti di cura, per rendere più sostenibile il lavoro dei medici di base e degli specialisti e, al tempo stesso, restituire ai pazienti la serenità di sentirsi compresi e accompagnati, quegli stessi pazienti che oggi erano in sala dal vivo ad ascoltare la propria dottoressa, annuendo e ringraziando senza il rischio che, diventando famosa con i libri, possa abbandonarli a parole incomprensibili.