Presentato nella sezione Best of 2025, il nuovo film del regista texano è un omaggio visionario e struggente alla nascita della modernità cinematografica. Tra le strade di Parigi del 1959, la leggenda di Godard rivive nel tempo sospeso dell’immaginazione.
Alla Festa del Cinema di Roma 2025, la sezione Best of 2025 accoglie “Nouvelle Vague”, il nuovo, affascinante film di Richard Linklater, acclamato autore di Boyhood, della trilogia Before e di A Scanner Darkly. Il regista texano, maestro nel raccontare il fluire del tempo e l’essenza del divenire umano, si misura qui con la memoria del cinema stesso, rievocando la nascita di un mito: il momento in cui Jean-Luc Godard, nel 1959, girò Fino all’ultimo respiro per le strade di Parigi, cambiando per sempre la grammatica cinematografica.
“Non un film in costume anni ’50”, ha dichiarato Linklater, “ma un film che vive attimo per attimo la creazione di un cult, come se stesse accadendo ora”. L’intento è chiaro fin dalle prime inquadrature: Nouvelle Vague non ricostruisce un’epoca, la reinventa. Parigi è viva, febbrile, animata dai giovani cineasti che stavano per riscrivere la storia del cinema: Melville, Chabrol, Truffaut, Coutard, Bresson, Rossellini, ma anche due volti destinati a diventare leggenda, Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo. Linklater li osserva mentre discutono, litigano, amano, filmano, come se la macchina da presa fosse un riflesso di quella originale di Godard.
Nel cast spiccano Guillaume Marbeck, Zoey Deutch, Aubry Dullin, Adrien Rouyard, Antoine Besson e Jodie Ruth Forest, interpreti che restituiscono la giovinezza e l’irrequietezza di una generazione che credeva nel potere rivoluzionario delle immagini. Ogni gesto, ogni battuta, ogni imperfezione diventa parte di un ritratto collettivo: quello di un manipolo di cineasti che, armati di sogni e di una cinepresa leggera, sfidarono le regole dell’industria per creare un cinema libero, spontaneo, antiaccademico.
Linklater, innamorato di quel momento storico e del suo spirito anarchico, dichiara di aver voluto “immergersi nel 1959, uscire con la gente della Nouvelle Vague, bere caffè nei bistrot, perdersi nei cortili, sentire il vento sui tetti”. E lo spettatore, seguendolo, compie lo stesso viaggio: Nouvelle Vague non racconta la nascita di Fino all’ultimo respiro come un episodio del passato, ma come un presente che si rinnova a ogni fotogramma.
Il film alterna linguaggi e registri, mescolando il bianco e nero del cinema d’origine con improvvise esplosioni di colore, in una costruzione temporale fluida, tipicamente linklateriana. Le riprese in 16mm convivono con inserti digitali e scene di meta-cinema dove gli attori commentano, in tempo reale, la nascita delle immagini che stanno girando. È un esperimento che fonde documentario e finzione, memoria e invenzione, e che fa di Nouvelle Vague un atto d’amore verso la libertà creativa.
La voce di Godard aleggia ovunque: nei dialoghi, negli sguardi in macchina, nei tagli improvvisi del montaggio che ricordano il celebre jump cut. Ma Nouvelle Vague è anche un film profondamente personale, perché Linklater vi proietta la sua poetica di sempre, quella del tempo come dimensione esistenziale, della creazione come gesto umano e imperfetto. Il regista di Boyhood non si limita a celebrare un mito: lo trasforma in un’esperienza di vita, in cui il cinema diventa un modo di respirare, amare, ricordare, un modo per rendere omaggio ai venti giorni che cambiarono per sempre la storia del cinema. Venti giorni in cui la realtà divenne arte, e l’arte imparò a essere libera.
