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“Six jours ce printemps-là”: la tensione della differenza secondo Joachim Lafosse

19 Oct 2025 -Festa del Cinema di Roma RC SIX JOURS CE PRINTEMPS-LÀ in Roma.

foto: Riccardo Piccioli

Alla Festa del Cinema di Roma 2025, il regista belga firma un dramma psicologico che diventa una riflessione tesa e urgente su razza, appartenenza e disuguaglianza sociale nella contemporaneità europea

Alla Festa del Cinema di Roma 2025, nella sezione Progressive Cinema, è stato presentato Six jours ce printemps-là, il nuovo film di Joachim Lafosse, uno dei cineasti più intensi e coerenti del panorama europeo. Dopo il successo di Un silence, che gli valse il premio per la Migliore regia alla Festa del Cinema 2023, il regista belga torna con un’opera che mescola dramma familiare, suspense e critica sociale, raccontando l’Europa delle contraddizioni e dei confini invisibili. Con la sua consueta precisione psicologica e un linguaggio visivo di sobria eleganza, Lafosse costruisce un racconto che parte da una vicenda intima per allargarsi progressivamente fino a toccare temi universali: l’identità, la paura dell’altro, la disuguaglianza.

La protagonista, Sana, interpretata da una straordinaria Eye Haïdara, è una giovane madre che, esausta dalla routine e dal peso delle responsabilità, decide di concedersi una breve vacanza in Costa Azzurra insieme ai suoi due figli gemelli, Leonis e Teoudor Pinero Müller. Ma, non trovando più posto in nessuna struttura turistica, la donna decide di trascorrere i giorni di Pasqua nella villa dei suoi ex suoceri, di cui conserva ancora le chiavi. Quella che sembra una parentesi di serenità si trasforma ben presto in un’esperienza claustrofobica: Sana e i suoi figli, dalla pelle nera, si ritrovano infatti a vivere come intrusi all’interno di una enclave di bianchi benestanti, dove la diversità diventa motivo di sospetto e di esclusione. L’illusione della vacanza idilliaca si incrina giorno dopo giorno, e la sensazione di essere osservati e giudicati si fa sempre più pesante, fino a trasformarsi in una tensione tangibile, quasi da thriller psicologico.

Il cast, accanto alla magnetica Eye Haïdara, vede la presenza di Emmanuelle Devos e Damien Bonnard, nei panni degli ex suoceri, figure ambigue e inquietanti, capaci di incarnare la freddezza e l’ipocrisia di una classe sociale che si considera liberale solo in apparenza. Jules Waringo contribuisce con sensibilità alla costruzione di un racconto intimo e doloroso, dove ogni gesto è carico di significato. Lafosse, come nella sua migliore tradizione, non offre soluzioni ma interrogativi: filma i corpi e i silenzi, la paura che cresce lentamente, la tensione che scorre sotto la superficie del quotidiano. L’effetto è quello di una docufiction tanto realistica da sembrare vissuta, dove la macchina da presa è testimone invisibile di un dramma collettivo che si consuma in un microcosmo apparentemente perfetto.

Con Six jours ce printemps-là, Lafosse conferma la sua straordinaria capacità di unire l’intimità della narrazione al rigore dell’analisi sociale. Il film diventa così una riflessione sulla condizione postcoloniale dell’Europa contemporanea, sull’invisibilità dei pregiudizi e sulla paura del diverso che permea anche gli ambienti più “civilizzati”. La tensione cresce fino a un climax che non ha bisogno di esplosioni né di gesti estremi: basta un silenzio, uno sguardo, un gesto minimo per svelare il peso della violenza simbolica. È un cinema che parla sottovoce ma lascia il segno, uno sguardo lucido e compassionevole su un’umanità che cerca ancora di riconoscersi nell’altro.