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Winter of the Crow: la Polonia di Kasia Adamik tra memoria, paura e coraggio civile

21 Oct 2025 -Festa del Cinema di Roma RC WINTER OF THE CROW in Roma.

foto: Riccardo Piccioli

Alla Festa del Cinema di Roma 2025 un thriller politico e psicologico tratto da un racconto di Olga Tokarczuk, con una straordinaria Lesley Manville

Tra le proiezioni più intense del concorso Progressive Cinema alla Festa del Cinema di Roma 2025, spicca Winter of the Crow, il nuovo film di Kasia Adamik, regista e sceneggiatrice polacca che, insieme alla madre Agnieszka Holland (qui in veste di produttrice), continua una tradizione familiare di cinema civile e politico di altissimo livello. Il film, tratto da un racconto di Olga Tokarczuk, premio Nobel per la Letteratura nel 2018, è un’opera di grande potenza visiva e morale, capace di fondere tensione narrativa, introspezione psicologica e rigore storico. Adamik costruisce un thriller cupo e visionario che evoca la claustrofobia della Polonia del 1981, alla vigilia della legge marziale, quando il paese si trovò sospeso tra speranza e repressione. Il risultato è un film ipnotico, di precisione formale e di profonda umanità, in cui il gelo del titolo non è solo meteorologico, ma anche politico e spirituale.

La protagonista è Joan Andrews, interpretata da una magnifica Lesley Manville, una delle attrici più raffinate del cinema britannico, musa di Mike Leigh e interprete per Paul Thomas Anderson (Il filo nascosto), Anthony Fabian (La signora Harris va a Parigi) e Luca Guadagnino (Queer). Joan è una psicologa londinese arrivata a Varsavia per partecipare a una conferenza accademica. Disinformata e disinteressata alle vicende di Solidarność, diffida degli studenti che le chiedono di prendere posizione. Ma quando il 13 dicembre 1981 viene imposta la legge marziale, la sua vita cambia radicalmente: si ritrova bloccata in una città gelida, senza passaporto, isolata e in balia di una realtà sempre più inquietante. Varsavia si trasforma in un labirinto di burocrazia, paura e violenza: un incubo kafkiano in cui Joan, testimone involontaria della repressione, deve scegliere se fuggire o finalmente agire.

Accanto a Manville, il cast offre interpretazioni di grande intensità: Zofia Wichłacz (Warsaw 44), Andrzej Konopka, Sascha Ley e Tom Burke contribuiscono a costruire un mosaico umano fatto di sospetto e silenzi, dove ogni gesto può significare salvezza o condanna. La regia di Adamik dosa con maestria la tensione: il ritmo serrato e l’uso sapiente della luce – dominata da tonalità fredde e metalliche – accentuano la sensazione di immobilità e di oppressione. L’atmosfera richiama i grandi maestri del cinema politico europeo, da Wajda a Costa-Gavras, ma anche il cinema del terrore psicologico di Alfred Hitchcock, esplicitamente evocato nel riferimento a Il sipario strappato. Ogni inquadratura suggerisce un doppio livello di lettura: il realismo storico convive con la metafora, e la suspense si intreccia con la riflessione etica.

Winter of the Crow è un film sulla responsabilità individuale di fronte alla Storia. Adamik non costruisce un racconto di eroi, ma di testimoni: persone comuni trascinate dagli eventi, costrette a scoprire la propria coscienza. Joan Andrews, inizialmente scettica e distaccata, diventa progressivamente un simbolo di presa di posizione morale, di quel momento in cui la neutralità smette di essere una scelta. In un’epoca in cui la verità sembra manipolabile e il coraggio un’eccezione, il film di Adamik diventa una parabola attualissima sul valore dell’impegno e sulla necessità di schierarsi. La regista utilizza il linguaggio del thriller per parlare della fragilità delle libertà civili, trasformando una vicenda storica in una riflessione universale sul rapporto tra paura, silenzio e azione.

Winter of the Crow è, in definitiva, una delle opere più potenti del concorso Progressive Cinema: un film che unisce rigore politico e sensibilità autoriale, capace di far rivivere il gelo morale di un’epoca e di interrogarci sul presente. Con il sostegno di due donne di cinema come Kasia Adamik e Agnieszka Holland, e l’ispirazione letteraria di Olga Tokarczuk, il film si impone come una testimonianza artistica e civile di straordinaria coerenza.