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Il 16 ed il 17 febbraio al teatro Palladium di Roma si ricorda la tragedia del Vajont

Sono passati cinquantacinque annida quando una massa di terra e roccia si staccò dalle pendici del Monte Toc e cadde nel lago artificiale sottostante. L’impatto provocò il sollevarsi al di là della diga di un’immensa ondata: un volume d’acqua pari a 250 milioni di metri cubi d’acqua che fuoriuscì e si abbatté sulla valle. In pochi minuti morirono più di duemila persone e sette paesi scomparirono inghiottiti dall’acqua e dal fango: il più grande fu Longarone sempre nella provincia di Belluno distrutta alle ore 22:39 che contò 1.458 vittime su un totale di 1.917 deceduti.

Il Teatro Palladium, il 16 ed il 17 febbraio, ricorda questa rilevante tragedia nazionale, portando in scena anche alcuni studenti universitari con i quali si è affrontato un percorso laboratoriale incentrato proprio sul tema del passaggio della memoria e della sua sopravvivenza, avvalendosi delle specificità del linguaggio teatrale, che della memoria si serve per riannodare fili e creare percorsi nuovi, radicati nella vita trascorsa e aperti a quella futura.
Un brutto risveglio dell’Italia industriale che non poneva limiti alla tecnologia ed allo sviluppo e che invece, con il disastro del Vajont, pose una improvvisa battuta di arresto.
L’azione scenica dello spettacolo si situa proprio lì, nello spazio di questo risveglio, all’alba del 10 ottobre 1963, servendosi del falso storico consapevole di una radio privata bellunese, per scoprire in tempo reale, indizio dopo indizio, il tragico accaduto e cominciare a intravederne la reale inimmaginabile portata.
Protagonista dello spettacolo, contemporaneamente al dispiegarsi di questo filo narrativo, è l’intero, complesso, ricchissimo mondo di memorie e vissuti che in pochi secondi è stato cancellato insieme alle persone che lo animavano e lo custodivano.
Il linguaggio evocativo, giustapposto a quello quasi cronachistico delle voci che si succedono al microfono della radio, restituisce l’incommensurabilità della perdita non attraverso la sua denuncia, ma piuttosto esplorando e celebrando la profondità e la ricchezza delle memorie che a questo mondo perduto sopravvivono.
E’ il tema della resilienza, sociale e personale, infatti, ad essere affrontato in questo spettacolo, complice il carattere quasi paradigmatico del disastro del Vajont, sottolineando come di fronte al dolore, al male, alla catastrofe, la strada dell’uomo possa sempre cercare un nuovo inizio o forse, meglio, una prosecuzione, a partire da ciò che di bello è vitale è stato cancellato per reincarnarlo, rinnovarlo, reinventarlo, riviverlo.