Frammenti, tra i tanti possibili, della vita laziale di Mihajlovic. Il serbo è morto a Roma dopo una lunga malattia.

 

Camera ardente-Miha
La bara e la foto: la camera ardente per Sinisa.

Entrato nella camera ardente osservo il volto di Sinisa Mihajlovic, che mi sorride dalla foto adagiata sopra la bara che ne contiene il corpo, e penso. Nella mente si affastellano ricordi ora belli, ora brutti, legati alla brillante vita da giocatore di Sinisa, specie con la maglia della Lazio; poi immagini del suo essere allenatore; infine tutte queste cose assieme reinterpretate alla luce della sua dolorosa esperienza da malato onco-ematologico (così si dice, per amore di precisione). Una sola cosa percepisco con chiarezza, mentre guardo quella foto: il rammarico. Sarà impossibile incontrare di nuovo questo personaggio, pure solo a distanza o per mezzo di uno schermo. Non ho mai parlato con Mihajlovic, ma in quanto eroe (o nemico) pubblico tutti potevamo avere l’impressione di conoscerlo un poco. Pescherò tra i miei ricordi personali di tifoso laziale. Ho sfogliato quattro album. Più uno.

Sinisa-Malattia
La conferenza del 2019 in cui Mihajlovic annunciava la sua malattia.

 La fine è il suo inizio.

Tiziano Terzani mi scuserà, se prendo spunto dal titolo di uno dei suoi libri. Però è proprio così: la vita di Sinisa finisce solo formalmente. Lui non può più saperlo oramai. Ma continuerà a vivere nella carne dei suoi discendenti e nel pensiero di tutti quelli che gli hanno voluto bene, specie se questi ne tramanderanno ritualmente il ricordo. Si tratta in fondo dell’unica rivincita che la vita può prendersi sulla morte. Il segreto laico, dimenticato, di ogni allegoria religiosa: tramandare la memoria del passato, per gettare le basi di un futuro migliore, dotato di senso perché non dimentico della tradizione.

Sinisa Mihajlovic
L’ultima apparizione all’Olimpico contro la sua Lazio.

 La fine di Sinisa, almeno pubblicamente, è iniziata il 13 luglio 2022, nel giorno della conferenza stampa con cui annunciava al mondo la sua malattia. Da quel momento sapere come stesse Miha è divenuto per me un pensiero ricorrente. Ascoltai la diretta televisiva da Casteldebole, il centro sportivo del Bologna, con grande emozione e partecipazione.

Un tifoso mostra una foto del serbo durante il suo funerale.

 La stessa che era possibile percepire domenica 17 dicembre, nel giorno della camera ardente allestita a Roma al Campidoglio. “Era uno tosto”; “Un uomo vero in mezzo a tanti personaggi”; “Non aveva bisogno di maschere”; “Non si nascondeva mai”: questo il tenore delle parole dei tifosi accorsi a rendergli omaggio un po’ da tutte le città in cui Sinisa aveva allenato o giocato. Mihajlovic naturalmente aveva anche tanti difetti. Ma se quelle stesse parole le sentivo pronunciare anche da coloro che lo avevano conosciuto direttamente, come i suoi colleghi, ciò può significare solo una cosa. La sostanza pubblica e privata di Sini coincidevano. Al di là della parte in commedia che di volta in volta, anche suo malgrado, questo serbo guascone si trovava poi a recitare.

Il buono e il brutto cattivo.

Per chi è cresciuto a cavallo del nuovo millennio, la coppia difensiva della Lazio era Nesta-Mihajlovic. Un duo perfetto e complementare come pochi. Poliziotto buono e bello, Alessandro, bastardo ma leale, Sinisa. David Trezeguet ancora ricorda con agitazione quando da avversario gli capitava di affrontare Miha. Specialmente in coppia con Fernando Couto…

Sinisa-Jugo
Duro, spesso beffardo, ma leale. Mihajlovic era un difensore d’altri tempi.

Mihajlovic è stato difensore quasi per caso. Lui che per anni correva dinoccolato sulla fascia riccioloni al vento, sparando bordate col sinistro, era un’ala tornante più che un terzino. Già alla Samp Eriksson ne intuì però la sagacia tattica, indispensabile per agire da difensore centrale. A questa il serbo univa la qualità del suo sinistro da vero regista arretrato. Fisicamente non era veloce sul breve e con il tempo aveva perso brillantezza nel lungo. Lo ricordo, Sinisa, quando tornava in difesa dai calci d’angolo battuti, col passo ingobbito e la testa ciondolante. Mi divertivo ad imitarlo, ai tempi della scuola, e in suo onore scelsi di indossare una maglia numero 11 in occasione di un torneo parrocchiale.

Di mattane Sinisa in campo ne ha fatte tante e con il Var forse la sua carriera sarebbe stata diversa. Come quella della gran parte dei ruspanti difensori di un tempo, che hanno avuto la fortuna di giocare prima della rivoluzione televisiva degli anni ’90 e 2000. Un tempo si marcava con licenza di intimidire. Come per strada. Dove infatti si imparava a giocare e gli attaccanti non potevano difettare di personalità utile a dribblare, correre e segnare: per sfrontata rivalsa nei confronti degli avversari oppure per evitare, semplicemente, d’essere menati.

Mihajlovic-Mutu
Il momento in cui Sinisa viene espulso, con Mutu alle sue spalle.

 Lo stile di gioco di Mihajlovic andrebbe valutato dunque anche in base al calcio del suo tempo. Brutti e cattivi erano un po’ tutti i difensori. Poi, sì, Sinisa ogni tanto esagerava. Come quando, nella sua ultima stagione alla Lazio, il serbo tirò un paio di sputi a Mutu durante un tremebondo Lazio-Chelsea 0-4, condannando i suoi ad una delle peggiori notte europee della propria storia. Ricordo Sinisa uscire caracollante dal campo, con una faccia un po’ così. “Perché, Sini? Perché lo fai? Ci fai sprofondare in questo modo. Non impari mai…”. Imparerà suo malgrado con il passare del tempo, specie da malato, a contare almeno sino a dieci. Da allenatore della Fiorentina, Miha e il calciatore rumeno sarebbero diventati comunque buoni amici.

Curve pericolose

Le immagini che mi sono rimaste dentro. La prima: Mihajlovic sotto la curva della Lazio prima di Lazio-Milan nella primavera del 1999, con una maglia contro la guerra in Jugoslavia; in particolare, contro i bombardamenti umanitari” della Nato (ebbene sì: le bombe possono essere umanitarie, ancora prima che “speciali”). Una posizione scomoda quella di Sinisa, un personaggio che aveva la fama di essere un ultra-nazionalista serbo.

La verità è che le cose sono molto semplici. Proprio per questo di solito è complicato capirle. E anche sulla guerra civile dei Balcani degli anni ’90 ci sarebbe molto da dire. Ragionare astrattamente in termini di Buoni (i croati, gli albanesi e i musulmani) e Cattivi (i serbi) è fuorviante.

Mihajlovic-Nato
La maglietta con l’invocazione a interrompere i bombardamenti americani sulla Jugoslavia.

Sottovalutare l’appiattimento critico che il racconto dei media necessariamente porta con sé, nel descrivere un evento bellico, e il fatto che gran parte delle persone solo per mezzo di questo ha memoria di quei tragici fatti. Dimenticare il quadro geopolitico dell’epoca, segnato dalla apparente legittimazione storica del messianismo americano dopo il crollo dell’URSS. Non conoscere a fondo la storia di quei popoli, in rapporto a quella del cosiddetto “occidente”. Tutto ciò impedisce di comprendere a pieno premesse, svolgimento e conseguenze di un conflitto che fu tragico, come lo sono storicamente quasi tutte le guerre di liberazione nazionale.

Sinisa, simbolo del calcio Jugoslavo e serbo, difensore vecchio stampo cresciuto per la strada, era dunque un cattivissimo per definizione. Specie per i nostri canoni di “occidentali umanitari” che non si capacitano di quanto tutti – eccetto noi – siano cattivi in giro per il mondo; di come sia possibile che questi non amino la libertà, incapaci di vivere in pace e democrazia. Se solo lo volessero… Per noi, il Mihajlovic politico parlava una lingua oramai incomprensibile, perché nel bene e nel male dimenticata.

Seconda istantanea: Sini sotto la curva prima di una gara di campionato nell’inverno del 2002, microfono in mano, spiega più o meno testualmente “che non può scusarsi con i tifosi per qualcosa che non ha fatto”. Ovvero sputare verso gli ultras, in occasione di un Lazio-Milan di Coppa Italia di qualche giorno prima, giocato in un putiferio di contestazione per i risultati scadenti della squadra. Mihajlovic affrontava la Curva senza fare una piega, leggendo un foglietto sotto una bordata di fischi. Quella fu la sua peggiore stagione alla Lazio, anche a causa della rottura del crociato avvenuta ad inizio annata. Aveva ragione lui, comunque: non mentiva nel negare le sue colpe. Poco amato dal sacchista e dogmatico Zaccheroni, perché ritenuto lento, Miha si rilancerà poi con Mancini in panchina. Riconquistando l’affetto della piazza.

Tiri Mancini

Miha-punizione
La posa tipica dei suoi calci da fermo col sinistro.

Possedevo un libretto nel quale, facendo sfogliare le pagine rapidamente a mo’ di fumetto, un Mihajlovic griffato sparava un pallone alla velocità della luce. Con coordinazione mirabile e perfetta. Si è detto tanto, a proposito delle punizioni di Mihajlovic e del suo incredibile piede sinistro. Qui non voglio ricordare i suoi fantastici gol. Ma due suoi fantastici assist. E una rete segnata con il destro.

Miha-Lombardo
Il divertente siparietto tra Miha e Lombardo, che gli lucida… il destro! (fonte: LazioWiki).

Per quanto riguarda gli assist, quello servito a Parma nel 1999 a Roberto Mancini per il suo incredibile gol di tacco, è troppo facile. Allora estraggo dalla mia memoria il lancio spaziale con cui Sinisa, in una sfida all’Udinese nell’inverno del ’99, servì il grande amico Roberto da metà campo. Un fendente telecomandato per il tocco al volo di Roby, bravo con la sua classe a prendere in contro tempo il portiere Turci.

Un anno dopo, contro la Fiorentina del Trap: sinistro al volo in contro tempo questa volta da parte di Sinisa, per smarcare il fratellino Dejan in area, dopo un calcio d’angolo ribattuto a campanile proprio verso la fascia dove transitava Miha. Incocciata di testa di Stankovic e rete. La settimana successiva, invece, ecco uno dei pochi gol di destro del serbo. Contro il Piacenza: punizione dal limite; palla sulla barriera; quindi un destro rabbioso all’angolino e Flavio Roma battuto. Dopo la segnatura, l’amicone Lombardo pulì simbolicamente con uno straccio lo scarpino destro di Sini.

Mancio, Deki e Lombardo, lunedì 18 dicembre, erano tra coloro che hanno portato a spalla il feretro di Sinisa Mihajlovic, all’uscita della Chiesa di Piazza Esedra, nel giorno del suo funerale.

“La bomba de Sinisa”

De sica-Miha
Christian De Sica con la maglia di Miha in “Tifosi”.

Un giovane Christian De Sica, tirato e in forma cinepanettone, interpretò a cavallo del nuovo millennio in “Tifosi” un romano distinto ed elegante. Con la maglia di Mihajlovic e il numero 11 sulle spalle. Assieme agli amici, quando giocava a pallone, il laziale minacciava gli avversari di scagliare le sue proverbiali “bombe”. Non la battuta più felice, alla luce di quanto stava accadendo allora in Jugoslavia. Ma esemplare del fatto di quanto Mihajlovic, a torto o a ragione, fosse entrato nell’immaginario collettivo degli appassionati. 

                                                                 

Hvala, Sini! 

 

L’ultimo saluto a Sinisa Mihajlovic.