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Golf, fotografia ed autismo. Quando le passioni battono la disabilità

foto esterna: Riccardo Pravettoni

Al Marco Simone, negli Open d’Italia di Golf, Riccardo Pravettoni racconta cosa vede attraverso l’obiettivo fotografico.

Una giornata con tanto sole passata tra le varie buche del Marco Simone Golf Club, sede dell’80° Open d’Italia. Oltre 170 giocatori da tutta Europa si contendono il trofeo italiano più importante dell’anno. In sala stampa, tra decine di fotografi e giornalisti, c’è Ricky Pravettoni, un fotografo speciale. Accompagnato dalla mamma Loredana, Ricky, appassionato di reportage sportivi ma non solo, nella sua borsa della vita non ha solo macchine fotografiche e computer, ha anche lo spettro dell’autismo.

Ci si rende subito conto che nell’aria di una sala stampa illuminata da calde lampade da tavolo, c’è una sorta di magia, un ambiente dove Ricky si sente a suo agio, dove riesce a muoversi, dove ha tutto a disposizione e da dove, a pochi passi, iniziano i prati verdi brillanti dei campi da golf, luogo in cui Ricky cammina alla ricerca del suo scatto.

Ricky ha trovato nello sport e nella fotografia il suo modo di comunicare. E non è stato facile dice Loredana, che lo ha sempre accompagnato nelle sue esperienze, da quelle sportive alla ricerca di sport che potessero favorire relazioni con altri, allo studio della tecnica fotografica, in cui Ricky potesse esprimersi e guardare negli occhi una persona attraverso l’obiettivo.

Ricky, come è nata questa grande passione per la fotografia sportiva?

“Quando ho scoperto che la fotografia mi aiuta a socializzare meglio con gli altri”.

Con gli altri fotografi oppure in generale?  

“Di solito socializzo grazie alla mia passione per le foto. Con gli altri fotografi direi che c’è più un’intesa”.

Quali sono gli sport che ti piace fotografare?

“Principalmente la vela, il windsurf, pallavolo, basket e golf”

La studi la fotografia o è un dono naturale?

“Diciamo che mi piacerebbe capirla di più, quindi studiarla a fondo, perché è un mondo piuttosto complesso. Il mio, comunque, è un istinto naturale, è la macchinetta fotografica che cerca di seguire me ma il mio istinto va oltre il mezzo meccanico. Quando scatto non sto a fissare molto il soggetto. Mi metto lì, guardo i movimenti per un attimo e scatto. Credo che la macchinetta sia la mia principale difficoltà perché è lenta rispetto al mio pensiero. La macchinetta ha un limite. Oggi ad esempio ho ricevuto una nuova macchinetta che non fa il rumore del click e non riesco a capirne l’utilità. Il click a me tranquillizza e mi dà il senso del tempo di scatto”.

Quindi in sostanza riesci a vedere un gesto sportivo nella sua essenza?

“Più che altro mi sembra che la macchina sia come una lente di ingrandimento, qualcosa che mi fa vedere dentro la persona che fotografo”.

Fai anche delle mostre, vero?

“Oh si! Parecchie. Ne abbiamo appena chiusa una prima di partire. Ne abbiamo fatte anche per il Comitato Italiano Paralimpico in occasione del Festival Paralimpico che si è svolto a Milano lo scorso anno”.

Fotografi solo lo sport o anche altro?

“Anche altro, solo che a volte ci sono soggetti che faccio fatica ad inquadrare. Sono persone chiuse, poco esposte. Persone che sembra abbiano una maschera. Il giocatore non ha un filtro. >Comunque fotografo solo persone che vedo, che si aprono”.

Quando vedi una tua immagine dopo un po’ di tempo, rivedi la stessa immagine che hai visto nel momento in cui scattavi?

“Quella immagine io la vedo solo nel momento in cui scatto”.

Ti piacerebbe che diventasse un vero lavoro la fotografia?

“Sicuramente. Per ora però penso che mi piacerebbe allargare i miei orizzonti facendo anche altre cose, mi piacerebbe fotografare altri sport ad esempio”. 

Quali in particolare?

“Ad esempio gli sport paralimpici. Soprattutto la vela perchè ho partecipato a dei progetti con ragazzi disabili in questo sport. Il mare mi ispira perchè è tridimensionale e poi ho voglia di far emergere ragazzi con disabilità che praticano sport ad alti livelli. O meglio, ho voglia di far emergere i ragazzi disabili in generale. Ha fatto una mostra con un collage di foto in cui componevo la parola ‘freaks’: una denuncia per i disabili usati nei circhi nel passato Una mostra dove attraverso le foto mostravo il passaggio dai feaks di una volta ai ragazzi di oggi che invece sono ritratti con le coppe in mano, sorridenti e vincitori. Sono sguardi di ragazzi che mia guardano nell’obiettivo dicendo ‘io sono un campione’. Mi da gioia fare queste foto”.