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La Lazio Scherma Ariccia fabbrica di Campioni

lazio scherma

Viaggio in una delle sezioni più importanti della Polisportiva Lazio

Sabbato ar colosseo di Marco ImpigliaQui non si tratta di decidere in quale fraschetta si gusta meglio la porchetta tra “Ariccia alta” e Ariccia bassa”, come ci è capitato di vedere in un programma dello chef Alessandro Borghese, no: qui vogliamo dirvi del fatto incontestabile che la cittadina dei Castelli Romani è una delle capitali europee della scherma. Una ventina di anni fa, quando gli schermidori ariccini se ne andavano a Helsinki, Parigi, Budapest o Tunisi a disputare tornei, gli avversari chiedevano stupiti da dove arrivassero. E come mai fossero così forti. Loro, tranquilli, rispondevano: “We come from Rome”. E allora tutti zitti, breve assenso e mani verso l’alto. Gesti comprensibili pure a chi non è un esperto di cinesica o legge i libri di John Deaver.

Sabato 30 ottobre è un gran giorno per la SSD SS Lazio Scherma Ariccia. Il “presidente storico” e fondatore, Mario Castrucci da Frascati ha deciso che si festeggeranno al Pala-Emanuele i 25 anni dalla nascita del sodalizio. Il Pala-Emanuele non è altro che il vecchio Palaghiaccio sorto in quegli anni ’80 di bagordi in cui sembrava che, a Roma e dintorni, un’epidemia di “ice skating fever” avesse contagiato di brutto la gente.

Poi la moda è passata, l’impianto stava andando in malora per cavilli burocratici ed è stata la volontà ferrea del “clan Castrucci” – famiglia super-sportiva di rugbisti, schermidori, schermitrici e flessuose ginnaste in erba – a salvare la situazione.

Correva il 1997 e, da lì in poi, cioè dalla scoperta della “cattedrale abbandonata nel deserto”, la Scherma Ariccia è partita col treno espresso e non si è fermata più. È saltata sul palcoscenico della scherma italiana e internazionale come un Arlecchino dispettoso, agile e furbo, pronto a infilzare un po’ tutti senza badare a blasoni e storie lontane.

Sei di Jesi e magni i vincisgrassi? Beh, beccate ‘sta porchetta! Quindi, nel 2008, uno dei rari mecenati veri dello sport rimasti in Italia, il marchese Emmanuele Francesco Maria Emanuele (non andate sul web a vedere chi è, perché la lista degli onori e delle benemerenze del nostro è praticamente infinita) ha celebrato personalmente (leggi: talleri) il matrimonio con la SS Lazio Polisportiva.

Il prof. Emmanuele F. M Emanuele, il mecenate che ha permesso l’abbinamento con la SS Lazio Polisportiva

Bisognosa la creatura del presidente Antonio Buccioni di rinverdire allori risalenti addirittura al 1913. In ottica biancoceleste, stiamo parlando di una storia a singhiozzo e però magnifica, con dentro personaggi come Nedo Nadi e i campioni olimpici Roberto Ferrari e Vittorio Lucarelli; più una scia di maestri eccelsi che al lettore profano magari non dirà nulla, ma che agli esperti dice parecchio: Francesco Innorta, Valentino Ammannato, Vito Resse e Ugo Pignotti, anche lui olimpionico, fino all’ultimissimo “magister” che impartisce lezioni di bon ton schermistico sulle pedane di alluminio del Pala-Emanuele: l’ex campione della ASC Frascati-Cocciano, classe 1965, Vincenzo Castrucci. Il Maestro ha una moglie, Gina, che ha avviato a fare la spadaccina e che oggi è una delle colonne che sostengono l’organizzazione della Scuola. Accademia di alti valori tecnici e morali che si avvale di insegnanti pagati il giusto e che operano con passione, pomeriggio dopo pomeriggio, dentro la bolla dell’ex palaghiaccio. Luogo magico che mantiene una pista interna dove prima si volteggiava nei modi di Sonia Henie e Wayne Gretzky, e adesso si praticano la ginnastica artistica, il basket, il volley, l’hockey a rotelle.

Fantastica efficienza polisportiva di un impianto nato per i ventimila abitanti della cittadina-paese dove ancora si vive a misura d’uomo, e che è stata recuperata grazie ai buoni uffici della politica ariccina. Ma se vai dentro, e sosti anche solo pochi minuti in muta contemplazione, ti accorgi immediatamente che c’è una catena di montaggio in piena produzione: maestri e maestre che insegnano l’arte di muoversi secondo gli schemi mentali dell’agonismo più puro. Se guardi appena a sinistra (lo spazio è grande…) vedi subito Giovanna, diplomata Isef cresciuta alla Garbatella, che ammaestra bambini e bambine delle elementari e medie. Segue un suo trattato che sta faticosamente redigendo, dove compaiono giochi improntati alla più “scientifica” attività ludica e motoria: esercizi perfetti per scuotere dal torpore ginnico innescato dalle ore trascorse in stato di trance davanti a televisori, cellulari e computer. Dagli schermi alla scherma, in sostanza.

torneo scherma ante-covid
Campioni in erba protagonisti di un torneo ante-covid

La nuova industria del ghiaccio del Pala-Emanuele, graffiato ora da lame di metallo baluginante, è bella perché varia: più in là, scorgiamo Giovanni Castrucci che lavora serio con una schermitrice già nel giro delle nazionali. E lo stesso fa Fabio, uno dei primi campioni italiani sfornati dalla premiata ditta Castrucci & Figli. La fedeltà alla Società sportiva è un valore aggiunto qui ad Ariccia. Lo testimonia il ritorno avvenuto di recente nelle file amaranto-celesti di Enrico Berré, la medaglia d’argento a squadre nella sciabola a Tokio 2020. Giusto un mesetto prima della sua partenza per il Sol Levante, svolgendo ricerche per il libro del “centenario”, lo intervistammo fuori del Centro Giulio Onesti all’Acqua Acetosa; assieme al campionissimo c’era Sofia Ciaraglia, “la tigre bionda” che, anche lei, è andata alle Olimpiadi ma come riserva azzurra. Il “ninja delle pedane” (tutte queste definizioni sono nostre, ne abbiamo bisogno per impossessarci dei campioni in qualche modo), famoso per il suo “salto alla Berré” col quale pizzica gli avversari in controtempo, ci confessò che avrebbe firmato col sangue pur di salire sul podio. Bene, tutti hanno visto come sia stato il migliore del quartetto degli sciabolatori. Il numero degli assalti vinti tale che, se l’avessero eguagliato i compagni, l’oro non sarebbe sfuggito all’Italia nella finale con i coreani.

Enrico è romano di nascita ma castellano di adozione. I suoi genitori, come molti liberi professionisti che se lo sono potuto permettere, hanno lasciato il caos della labirintica metropoli per l’aria salubre delle colline adagiate sui sonnacchiosi crateri esposti a sud. Si potrebbe pensare che la scherma ariccina sia un qualcosa di elitario, come di sicuro lo era la nobile arte della “escrime” tanto tempo fa. Ma, al contrario, non è così. La politica di assistenza osservata dal sodalizio consente a famiglie economicamente in difficoltà di inserire i figli nei circuiti delle lezioni, col corollario delle trasferte agonistiche che formano gli assi di domani. Grande merito di questa peculiare attività va riconosciuto al professor Emanuele e al suo progetto “lo sport per tutti”, destinato alle categorie sociali meno fortunate. Una mission supportata a suon di decine di migliaia di euro dalla Fondazione Terzo Pilastro Internazionale.

La gioia della vittoria nel settore femminile della spada

Insomma, se vi capita di passare in macchina ad Ariccia, non dimenticate che, tra le “eccellenze” della zona, non c’è solo la porchetta, croccante con la crosticina e profumata di spezie orientali misto burine. La cosa più bella, viva e umana, della “Riccia” è la Scuola di Scherma. Un vulcano di emozioni e di razionalità tecniche, soffiate in vetro di Murano e lavorate da artigiani in un ambiente sano e familiare, massimamente sereno, dove si coltivano l’amicizia e il rispetto dell’altro. E, credeteci, non stiamo esagerando: nessuno rispetta di più “l’altro” di uno schermidore in bilico tra terra e cielo sulla sottile striscia d’argento di una pedana. Il colore della pelle non conta; quanti soldi hai in tasca, da dove vieni, chi sei e come parli neppure. Valgono solo il braccio, la mente e il cuore.

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